Tra le proselite di fresca data di Dilys Salt c’era Fatima Verdad, che adesso Sabine Yama aveva portato all’ovile della Chiesa della Mano Sinistra. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, Fatima era venuta a sapere di essere sieropositiva, e aveva smesso di battere (…) fondò un gruppo chiamato Fatima Verdad e i Bands Aids, che comprendeva solo musicisti affetti dalla malattia (…) i componenti della band che stavano troppo male per suonare venivano rimpiazzati solo da altri infetti dal virus.

I personaggi memorabili di Barry Gifford sono, secondo me, tra le figure narrative meglio costruite della letteratura statunitense contemporanea. Selvaggi, allucinati, pervasi di un fuoco benedetto e al contempo dannato, farciti di orpelli culturali cajun, Easy Earl, Beatifica Brown, Big Betty Stalcup, Rollo Lamar, Klarence Kosciusko Krotz e gli altri protagonisti della trilogia Gente di notte, Alzati e cammina e Baby Cat-Face (che lo stesso Gifford ha voluto riunire in un unico volume, Notti del Sud, pubblicato in Italia da Jimenez Edizioni; traduzione di Alberto Pezzotta e Giulio Lupieri) grazie alla penna dell’autore diventano indimenticabili attori di storie impossibili da descrivere.

Il Sud è quello paludoso, malsano, solare degli Stati Uniti, una geografia vagabonda dalla Louisiana al Mississippi, con un ritmo che rimanda all’incalzare dei brani scelti in un juxebox. La storia, anzi le storie (perché anche all’interno di ogni singolo romanzo la trama principale si amplia in tante piccole micro-narrazioni che compongono un mosaico autentico e originale) racconta di sbandati on the road, lesbiche in cerca di vendetta, abortisti e antiabortisti, ossessioni religiose e alcoliche, bande di motociclisti, visionari, John Brown redento e voglioso, assassini casuali, immigrati, prostitute-bambine, avvocati giunti nel posto sbagliato nel momento sbagliato, malavitosi da due soldi, perdigiorno, predicatori via cavo…

Descrizioni allucinogene e minimaliste, un gustosissimo senso del vivere e del sopravvivere, la capacità straordinaria di far parlare i personaggi: Notti del Sud è un volume splendido, che cattura il lettore e gli lascia un profondo senso di rispetto nei confronti della letteratura popolare, quella vera, che se ne frega di trame impacchettate per far bella figura con il regno del mainstream.

E sulla capacità di far parlare i propri personaggi si fonda anche Wyoming (traduzione di Michela Carpi; Jimenez Edizioni), lungo dialogo itinerante tra una madre e suo figlio, un bambino di nove anni, che percorrono l’America in macchina negli anni Cinquanta. Il viaggio continuo permette ai due protagonisti di parlare del passato, della vita, dei sogni e del loro rapporto. Alla ricerca di un’esistenza migliore, forti delle loro piccole saggezze, madre e figlio narrano una storia in presa diretta, utilizzando il dialogo come unica fonte di informazioni, siano esse descrittive o riflessive, un dialogo talmente potente che, personalmente, lo utilizzo, insieme a quelli di Elmore Leonard, come esempio in tutti i corsi di scrittura che tengo).

“Quando si muore l’anima vola via come un corvo e si nasconde in una nuvola. Se piove significa che le nuvole sono piene di anime e devono spremerne fuori qualcuna. La pioggia sono le anime dei morti per cui non c’è più posto in cielo”. “Questo te l’ha detto nonna, Roy?”. “No, è solo una cosa che ho pensato io”. “Piccolo, stai certo che non potrò mai più vedere la pioggia senza pensare alle tue parole”.

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