Dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali in Cina si è parlato soprattutto per il boicottaggio degli Stati Uniti e di numerosi altri Paesi, europei e no. Ma c’è una regione che ha risposto compatta di sì all’invito di Pechino: l’Asia centrale. Tutti i leader dei cinque Paesi dell’area – Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan – hanno preso parte alla cerimonia, anche se tra gli atleti in gara ai Giochi non compaiono turkmeni nè tagiki. Elemento, questo, che fa capire una volta di più quanto sia forte l’influenza della Repubblica popolare in quella parte di mondo, nonostante il caos in Kazakistan a inizio 2022 l’avesse fatta mettere in dubbio: nel mezzo delle sollevazioni popolari, infatti, il presidente kazako Tokayev non aveva chiesto l’aiuto cinese ma quello dell’organizzazione di sicurezza russa Csto, come a ribadire di considerare Mosca (e non Pechino) la vera garante del proprio potere. Tornata la calma, però, la competizione attorno alla regione è tornata a farsi frenetica e la Cina sotto i riflettori.

La mossa cinese: il piano di aiuti da 500 milioni di dollari – Pochi giorni prima dell’inaugurazione, infatti, il presidente cinese Xi Jinping ha per la prima volta presieduto un summit con tutti i Paesi dell’Asia Centrale, organizzato per celebrare il trentesimo anniversario dall’instaurazione di relazioni diplomatiche dopo il dissolvimento dell’Unione sovietica. Un’occasione sfruttata per annunciare un piano di aiuti triennale da 500 milioni di dollari, che è servito anche a dare l’ultima spinta affinché i leader centroasiatici confermassero la partecipazione all’apertura dei Giochi. Come d’abitudine cinese, sul tavolo sono stati messi anche una serie di target numerici: ad esempio l’obiettivo di portare il valore degli scambi commerciale tra la Cina e gli stati della regione da 38,6 a 70 miliardi di dollari entro il 2030. Non solo: con un chiaro riferimento alla crisi kazaka, Xi ha sottolineato la propria avversione per le “rivoluzioni colorate“, ottenendo in cambio una dichiarazione congiunta in cui i capi di Stato centroasiatici hanno promesso di sostenere il principio “una sola Cina” contro le spinte separatiste dell’isola di Taiwan.

La risposta indiana: il vertice “1+5” – La partita geopolitica non si limita però al testa a testa tra Russia e Cina (con Mosca in vantaggio sul piano militare e Pechino su quello economico). Altri attori guardano con interesse alle potenzialità logistiche, di sicurezza e commerciali dell’area, e stanno iniziando ad agire di conseguenza. È il caso ad esempio dell’India: due giorni dopo il meeting con Xi Jinping, i presidenti delle repubbliche dell’Asia centrale hanno avuto un ulteriore summit con il primo ministro di New Dehli, Narendra Modi. L’occasione per il governo indiano di inaugurare una piattaforma di dialogo “1+5” con i Paesi, molto simile a quella messa in campo da alcuni anni dall’Italia, il primo Paese europeo ad avere iniziato un confonto omnicomprensivo con l’Asia centrale a un così alto livello. Il significato simbolico dell’iniziativa indiana ha fatto anche emergere il sospetto che l’annuncio cinese del piano di aiuti sia stato fatto solo poche ore prima proprio per togliere visibilità alla potenza rivale. Al di là delle dietrologie e degli eventuali sgambetti diplomatici, però, il vertice è indicativo della chiara volontà indiana di affermarsi come un attore di primo piano in Asia centrale. Anche – se non soprattutto – guardando all’Afghanistan. Modi vede infatti la cooperazione con l’area confinante come un passo fondamentale per recuperare terreno nella relazione con i Talebani, interlocutori importanti considerando i miliardi di dollari che hanno dimostrato di avere a disposizione.

Gli investimenti di Modi sulle infrastrutture – Un’altra “ossessione” indiana è la sfida alla Cina sul fronte della connettività infrastrutturale: in queso senso Modi e i cinque leader hanno concordato di istituire un gruppo di lavoro per sviluppare il porto di Chabahar, un hub marittimo sulla costa iraniana che l’India ha finanziato per promuovere il commercio nella regione e contrastare il progetto gemello Pechino ha realizzato in Pakistan, il porto di Gwadar. Proprio il Pakistan, infatti, impedisce all’arcinemico indiano di utilizzare il proprio territorio per raggiungere l’Afghanistan e l’Asia centrale, rendendo vitale per Modi la disponibilità di un porto vicino possibile all’area. Un’iniziativa concretizzatasi a suon di investimenti milionari, come il recente impegno per ulteriori 500 milioni di dollari per realizzare anche tutte le infrastrutture complementari, come strade e linee ferroviarie, necessarie per lo sviluppo di Chabahar. La montagna di denaro investita rende quindi fondamentale, per l’India, che le repubbliche centroasiatiche si appoggino a Chabahar per avere accesso al mare. Una necessità reciproca, considerando che l’Asia Centrale è una delle regioni del mondo più lontane dalla costa: l’Uzbekistan, ad esempio, è l’unico Stato al mondo a essere doppiamente senza sbocco al mare (cioè a propria volta confinante solo con Stati senza sboocco).

I prestiti milionari ai governi – Modi non sta lasciando nulla di intentato per portare i leader della regione dalla propria parte: l’India recentemente fornito una linea di credito di 450 milioni di dollari all’Uzbekistan per la costruzione di strade, il miglioramento del sistema fognario e il potenziamento del settore informatico. Nel 2020, inoltre, è stato annunciato un prestito di un miliardo di dollari ai cinque Stati per perseguire progetti prioritari in materia di connettività, energia e sanità. Il corteggiamento, insomma è sempre più serrato: d’altra parte è indubbio come negli ultimi anni, perlomeno dall’annuncio cinese delle Nuove Vie della Seta nel 2013, l’Asia centrale abbia visto crescere in maniera esponenziale la propria rilevanza geopolitica. Una rilevanza legata a varie dimensioni – energetica, economica e militare su tutte – all’interno di ciascuna delle quali il confronto internazionale è senza esclusione di colpi. Con esiti difficilmente prevedibili.

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