Quasi il 30% di diagnosi in meno, i posti letto occupati nelle terapie intensive e nei reparti di area medica che iniziano il calo. La pandemia ha fatto marcia indietro nell’ultima settimana. Ed è una ritirata sensibile, che nei prossimi 7 giorni inizierà a dispiegare i suoi effetti in maniera consistente anche sulla pressione ospedaliera. L’unico indicatore a non mostrare una regressione è quello dei decessi, con un numero di morti pressoché identico.

Con i 77.029 nuovi casi e 229 vittime registrati nel bollettino di domenica, la settimana 31 gennaio-6 febbraio si chiude con 692.250 positività riscontrate e 2.622 decessi. I casi diagnosticati calano del 29,09% rispetto ai 976.223 della settimana precedente, con un numero di tamponi passato da 6,9 milioni di test a poco più di 6. La retromarcia è evidente e inizia ad avere effetti anche sulle ospedalizzazioni, con gli ingressi in terapia intensiva che diminuiscono da 819 a 741 accompagnati dal 10,17% in meno di assistiti in rianimazione, passati da 1.593 a 1.431. In calo anche i posti letto occupati in area medica: domenica 31 erano 19.617 mentre sette giorni dopo sono 18.498, il 5,7 per cento in meno.

A rimanere stabili sono solo i decessi, l’ultimo parametro a salire quando è deflagrata l’ondata di Omicron e che ora sarà anche l’ultimo a calare. Negli ultimi sette giorni, infatti, i decessi comunicati sono stati appena 4 in meno dei 2.626 della settimana precedente. Numeri ancora drammatici, dunque, e che poco hanno a che vedere con la tipologia di conteggio effettuata in Italia, come da più parti – compreso il direttore del reparto di Malattie infettive del San Martino di Genova, Matteo Bassetti – si racconta in queste settimane. Già nel novembre 2020, infatti, l’Istituto Superiore di Sanità aveva smentito che venissero conteggiati come “morti per Covid” tutti coloro che spirano in ospedale da positivi, anche se – ad esempio – per cause legate a un incidente stradale.

“La positività al Sars-Cov-2 non è sufficiente per considerare il decesso come dovuto al Covid-19″, aveva spiegato l’Iss sul proprio sito ricordando che vengono seguite le indicazioni di Ecdc e Oms per identificare i decessi associati al virus. I criteri per definire una morte per Covid-19 comprendono un “decesso occorso in un paziente definibile come caso confermato” con tampone, la “presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di Covid”, nonché “l’assenza di una chiara causa di morte diversa dal Covid” e “l’assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso”.

Se la morte è causata da un evento non immediatamente riconducibile al Covid-19, ad esempio un infarto, ma il soggetto è positivo, non sarà classificato, come Covid insomma. Ma, precisava l’Iss, “se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite Covid-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza” e quindi “il decesso deve essere classificato come dovuto a Covid. Se invece l’infarto “avviene in un paziente che non ha un quadro clinico compatibile con Covid-19, il decesso non deve essere classificato come dovuto a tale condizione”.

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