Il Festival di Sanremo quest’anno ha accolto come suo sponsor principale il colosso del petrolio e del gas italiano Eni, tristemente noto come l’azienda più inquinante d’Italia e 30a tra i principali emettitori di CO2 del pianeta. L’Ente Nazionale Idrocarburi porta avanti da tempo un attento lavoro di comunicazione e pubblicità per ripulire la sua immagine di fronte alla società, cercando di apparire come un’azienda sostenibile. Questo tipo di attività studiata a tavolino per ingannare i cittadini, si definisce “greenwashing”.

Non è la prima volta che Eni cerca di presentarsi come un’azienda sostenibile, sfruttando spazi ed eventi culturali in tutto il Paese. Negli ultimi anni infatti il cane a sei zampe non ha mancato nessun appuntamento tra i più amati dagli italiani, primo tra tutti il famoso concerto del Primo Maggio, come Sanremo simbolo per eccellenza del nazional popolare italiano.

La sua capacità di infiltrarsi nel tessuto mediatico e culturale è davvero unica, e ne sono prova evidente le pubblicità ingannevoli dei combustibili “green” ed i programmi scolastici sulla sostenibilità.

Nonostante il decennio 2020-2030 sia quello decisivo per azzerare le emissioni, Eni non vuole impegnarsi. All’interno del suo piano strategico 2021-2024 prevede di aumentare l’estrazione di combustibili fossili del 4% ogni anno e di concentrarsi principalmente sul metano. In questo modo si vincola il sistema energetico italiano ad una fonte inquinante, altamente costosa e con un effetto serra ottanta volte maggiore della CO2 quando l’immissione in atmosfera avviene in modo diretto.

Sul piano geopolitico Eni esporta le sue politiche ecocide in diversi continenti. In Nigeria con la partnership di Shell ha acquisito la licenza del blocco petrolifero OPL 245. La Procura di Milano ha accusato il cane a sei zampe di aver pagato 1,1 miliardi di dollari all’amministrazione Jonathan: una parte di questa somma – 50 milioni – è stata in seguito retrocessa a favore di manager di Eni e Shell. Gli imputati nel 2021 sono stati assolti dall’accusa di corruzione internazionale aggravata perché “il fatto non sussiste”, è ora attesa la sentenza di appello.

Spostandosi invece nell’Artico, Eni sta investendo nella costruzione di un impianto di liquefazione da 20 milioni di tonnellate di gas all’anno. Per “compensare’’ ci sono investimenti in energia rinnovabile solo in 4 dei 28 miliardi di cui è composto il suo budget.

Come fa quindi a giustificare il tappeto green (che ha sostituito il red carpet)?

Da una parte, Eni investe in progetti di compensazione e tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 che, empiricamente, si sono dimostrate solo dei costosissimi fallimenti. Dall’altra, cerca di convincerci della sua “sostenibilità” tramite la partecipazione invasiva a grandi eventi e a pubblicità in spazi editoriali di rilevanza nazionale. Si tratta di una vera e propria strategia di marketing per cercare di riparare la propria immagine costantemente compromessa dalla realtà dei fatti e dalle responsabilità della multinazionale.

Sembra però che l’impalcatura del greenwashing di Eni cominci a scricchiolare: nel 2020 l’Antitrust ha disposto una multa di 5 milioni di euro nei suoi confronti per pubblicità ingannevole relativa al combustibile “ENIdiesel+. Un combustibile ricavato da gasolio e olio di palma non è chiaramente ecosostenibile, a differenza di quanto diceva la pubblicità sul “biodiesel’’.

Proprio per impedire il ripetersi di queste situazioni è stata proposta una legge di iniziativa popolare europea che vieti il fossil advertising. Eni ha anche cercato di mettere a tacere chiunque abbia osato criticare pubblicamente le sue azioni e i suoi progetti futuri. Il colosso del fossile si è scagliato contro testate giornalistiche (Il Fatto Quotidiano e Domani) e Re:Common attaccata a dicembre per la sua partecipazione al programma televisivo Report.

Nel frattempo, a Sanremo la nuova evoluzione del cane a sei zampe, Plenitude, ci riempie di vuote parole, parole, parole. Da qui la richiesta a tutti i partecipanti del Festival – tra cui diversi artisti che si sono molto spesi sul tema crisi climatica – di rilanciare l’hashtag #ParoleParoleParole per sottolineare il continuo bla-bla-bla delle aziende del fossile.

Cantatelo, ditelo al microfono o ad Amadeus, rimandatelo sui vostri social, canticchiatelo durante un’intervista. Oppure, continuando di questo passo, non sarà il volume della musica ad alzarsi, ma il livello del mare: volete che Sanremo 2050 sia il primo Festival della musica organizzato sott’acqua?

Foto in evidenza: Amadeus e Stefano Goberti, ad di Eni-Plenitude

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