Le italiane e gli italiani meritano rispetto, nella forma e nella sostanza. E lo meritano vieppiù dal momento che sono chiamati a una battaglia nella quale sono spesso mandati a combattere con regole vessatorie, spossanti, e con istruzioni confuse e contraddittorie.

La pazienza degli italiani è stata messa a dura prova da una lotta al Covid-19 che ha mostrato tutte le fragilità del sistema, fragilità che – tra incapacità e spending review – avevano già da tempo ridotto la sanità e il welfare a un colabrodo, contro cui niente potrà il paravento del salvifico Pnrr. Ma lo meritano anche per tutto il resto che sul piano politico-istituzionale si è accompagnato alla demolizione dello Stato sociale: meritano rispetto perché meritano una democrazia viva e partecipata, in cui ognuno ricopra il ruolo che gli spetta nell’ottica di una sana dialettica tra poteri.

Meritano di vedere esaurirsi, piuttosto che normalizzarsi, la logica dell’emergenza, che per inciso non nasce con il Covid-19: anzi, la gestione emergenziale della pandemia è l’ulteriore accelerazione di un processo di esautorazione del parlamento e di concentrazione dei poteri in mano all’esecutivo da un lato e al presidente della Repubblica dall’altro, ma in cui il capo dello Stato governa di fatto, bypassando il parlamento e gestendo il governo come una propria emanazione, e su mandato esterno (il famigerato ‘vincolo’); meritano rispetto perché dovrebbero tornare a decidere dacché non decidono più niente, votano (quando va bene, ché alle ultime suppletive di Roma l’affluenza è stata di poco più del 10% degli aventi diritto) e poi assistono alla più triviale recrudescenza partitocratica, una versione iperbolica della massima di Condorcet secondo cui il rappresentante va in parlamento a dire le proprie opinioni, non quelle di chi lo ha eletto.

Queste sono solo alcune delle ragioni per le quali gli italiani e le italiane meritano rispetto. E non avrebbero voluto assistere all’avvilente dibattito attorno all’elezione di una figura vitale per la politica, quel presidente della Repubblica che rappresenta l’unità nazionale e che non è né un notaio, né l’espressione di una sorta di semipresidenzialismo di fatto come in questi ultimi dieci anni troppe volte è sembrato. In mezzo a Carneadi e a nomi ridicoli (fossi stato un parlamentare mi sarei imposto, partecipando a ogni dibattito pubblico, di nitrire come i cavalli di Frankenstein Jr. al solo udire il nome di Berlusconi candidato a capo dello Stato), si è toccato davvero il fondo, con l’apoteosi della manfrina e dell’accordicchio, mentre un presidente del consiglio in carica cerca di dare esecuzione estrema e definitiva alla lettera che egli stesso aveva vergato assieme al suo capo di allora, Trichet, dagli uffici della Banca Centrale Europea.

E mentre nessuno si oppone apparentemente alla resistibile ascesa dell’ex banchiere centrale, allegoria vivente del tempo presente – la politica esiste come funzione dell’economia – che però nella migliore tradizione italica, dal Valentino in poi, rischia di venir sacrificato sull’altare di quel Deep State pronto a squartarlo nella piazza di Cesena come un Remirro qualsiasi, in giro si assiste all’ammuina delle nomine, al valzer delle candidature e delle auto-candidature, all’eterno ritorno dell’identico socialista, all’immarcescibile highlander democristiano, alla boutade e alla pochade, al Quirinale scambiato per un Oscar alla carriera o a un munus per arzilli vecchietti o pensionati d’oro, al gioco ipocrita della ‘donna al Quirinale’ (ma quale donna? Una donna che ha votato e difeso Berlusconi diventa uomo!).

Ecco, gli italiani e le italiane meritano invece un presidente normale. Una persona perbene, un uomo o una donna che pur non trasformandosi nel re pescatore che regna ma non governa, non si arroghi il ruolo di ganglio monocratico di una vita repubblicana esangue, ridotta al lumicino dal CelochiedelEuropa. Una persona presentabile, che abbia avuto un cursus honorum politico-istituzionale, un alto profilo intellettuale e morale, e che pure si sia un minimo distinto per aver dialogato con questo paese e non invece comandato dalle segrete stanze delle grandi istituzioni finanziarie internazionali senza mai rispondere neanche a una domanda.

Una persona pubblica, nell’accezione di pubblicità come trasparenza, dialettica democratica, ruolo svolto sotto quella luce del sole che è il miglior disinfettante. Insomma, una persona delle istituzioni. Gli italiani e le italiane meritano questo standard minimo di civiltà politica.

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