Mentre in Italia la vaccinazione pediatrica è partita da poco meno di un mese (673mila i bambini tra i 5 e gli 11 che hanno ricevuto almeno una dose pari al 18% della platea), dagli Stati Uniti (che hanno iniziato a novembre) arrivano i primi consistenti dati sulla sicurezza del composto anti Covid. Una analisi condotta negli Usa dai Cdc (Centers for disease control and prevention) sulle segnalazioni giunte al sistema di sorveglianza Vaers (Vaccine Adverse Event Reporting System) in relazione ad oltre 8,7 milioni di vaccinazioni di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni.

Il sistema di sorveglianza ha raccolto nel complesso poco più di 4.000 segnalazioni di eventi avversi, di cui il 97,6% lievi. Tra i 100 eventi avversi seri, i più frequenti sono stati febbre alta, vomito, convulsioni. Sono stati verificati undici casi di miocardite, sette risolti e quattro in via di risoluzione al momento di chiusura del report. Due i decessi, due bambine di 5 e 6 anni di età con storie mediche complicate ed in condizioni di estrema fragilità prima della vaccinazione. Gli studi effettuati, prima dell’autorizzazioni degli enti regolatori, hanno fatto emergere nella popolazione 5-11 anni “un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars Cov 2 pari al 90,7% rispetto al placebo e la non-inferiorità della risposta immunologica rispetto a quanto osservato nella popolazione 16-25 anni”.

Intanto un gruppo di ricerca britannico ipotizza quale sia il motivo per cui i giovanissimi sono meno suscettibili all’infezione da Sars Cov 2. I ricercatori hanno confrontato l’immunità anticorpale e cellulare nei bambini dai 3 agli 11 anni e negli adulti, alcuni dei quali con un precedente contagio da coronavirus. Mentre il livello anticorpale e la capacità di neutralizzazione delle varianti virali è risultata confrontabile tra bambini e adulti, la risposta delle cellule T specifiche per la proteina Spike (il principale meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio) è risultata più che doppia nei bambini, ed è stata rilevata anche in molti bambini sieronegativi, indicando una risposta cross-reattiva derivante da precedenti infezioni con i coronavirus stagionali. Inoltre i bambini hanno mantenuto le risposte anticorpali e cellulari anche 6 mesi dopo l’infezione, mentre negli adulti è stato riscontrato un declino.

Un altro fattore che potrebbe aiutare a spiegare la minore gravità delle infezioni nei bambini – che con la comparsa della variante Omicron sono aumentate – potrebbe essere proprio la risposta anticorpale. I ricercatori dell’ospedale presbiteriano Weill Cornell di New York hanno esaminato quasi 32.000 sierologie effettuate tra aprile e agosto 2020, trovando tassi di sieroprevalenza abbastanza simili tra bambini ed adulti (rispettivamente del 17% e del 19%). Quando sono stati analizzati i sieri, gli scienziati si sono resi conto che i livelli degli anticorpi bambini era negativamente correlato con l’età: nei bambini di età inferiore ai 10 anni il livello medio delle IgG era infatti doppio rispetto a quello degli adolescenti (11-19 anni), i quali a loro volta avevano un livello di IgG più che doppio rispetto ai giovani adulti di età compresa tra 19 e 24 anni.

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