di Daniele Sanzone

Alberto Angela sta a Roberto Saviano come lo Yang (bianco) sta allo Yin (nero). Le loro narrazioni, seppur con linguaggi, codici e tempi diversi, sono speculari. Sono entrambe vere o, se preferite, entrambe false. Vecchi e comuni luoghi che tanto in Italia amiamo frequentare.

Non potrebbero esistere l’una senza l’altra, sono due facce della stessa medaglia, una medaglia spessa e pesante. E quello spessore è esattamente la misura delle sfumature che mancano a entrambe le narrazioni. Senza quello spessore la moneta cessa di essere tale, per diventare sottile come un coriandolo, nero o di mille colori, che si perde nel vento. Anche se Alberto Angela ha dichiarato di voler raccontare con, Stanotte a, le luci e non le ombre di Napoli. Cosa che invece Gomorra, e Saviano, non ha mai esplicitato, come se la sua fosse la vera Napoli o quanto meno quella più aderente alla realtà, e non anche un prodotto di intrattenimento e di business.

Saviano ha accentrato in questi anni la narrazione della città, quasi fosse il detentore della verità, creando di riflesso tante narrazioni opposte e quindi alimentando lo yang senza mai, e dico mai, entrare nelle sfumature. Luigi Compagnone diceva che “Spesso chi denuncia i mali di Napoli si abbandona alla stessa disperazione finendo per contribuire e diventare complice dell’orrore.” Intanto Napoli è l’unica città in Italia, e forse al mondo, che continua a vivere del proprio racconto, senza mai guarire, forse perché guarire significherebbe far smettere di parlare di sé.

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