La variante Omicron cambia “drammaticamente” lo scenario. Perché la protezione naturale in chi è stato infettato e quella da vaccino durano nei suoi confronti “pochi mesi”. Tanto da “farci chiedere se c’è bisogno, prima del richiamo annuale, di una quarta dose. Molti Stati a causa di Omicron hanno deciso di somministrare la terza a tre mesi invece che a sei“. Parola del numero uno di Pfizer Albert Bourla, che – come ha rivelato Franco Bechis su Il Tempo – durante una conference call tenuta il 6 gennaio con l’analista della divisione Ricerca di Goldman Sachs Chris Shibutani ha ammesso come il gruppo produttore di uno dei vaccini anti Covid più utilizzati al mondo sia rimasto spiazzato dall’avvento della variante. Che è molto più contagiosa anche se per ora causa un’infezione più lieve. E la cui evoluzione, secondo il virologo Guido Silvestri, è ancora impossibile da prevedere: potrebbe “affinare ulteriormente” la capacità di colpire solo le vie aeree superiori oppure, nello scenario peggiore e meno probabile, “fare marcia indietro sulle tre mutazioni che la rendono meno utilizzabile dall’enzima TMPRSS2” e quindi “tornare ad essere efficace ad infettare il polmone senza perdere la sua aumentata trasmissibilità”.

L’ad di Pfizer è in buona compagnia visto che anche Stephane Bancel, ceo di Moderna, venerdì 7 gennaio si è detto convinto che la quarta dose – già in via di somministrazione in Israele – sarà probabilmente necessaria in autunno 2022: “Sarei sorpreso di ricevere nelle prossime settimane dati in base ai quali” la dose booster “tenesse bene nel corso del tempo. Mi aspetterei che non reggesse alla grande”, ha spiegato sempre durante un evento organizzato da Goldman Sachs. Bourla assicura che un vaccino specifico per Omicron “ci sarà, la questione è se lo useremo o no”. I tempi? “C’è una probabilità molto elevata che ne avremo uno molto efficace entro marzo“. Bisogna vedere se a quel punto ce ne sarà ancora bisogno e se l’azienda riuscirà a produrlo in quantità sufficiente, anche se il manager si dice “molto fiducioso, per quanto possiamo esserlo, che lo avremo per aprile e saremo in grado di produrlo in maniera massiva, di miliardi di dosi se necessario”. Al netto della possibilità che nel frattempo emergano altre varianti.

Di certo questa novità, sottolinea Il Tempo, ha scombinato i piani del gruppo che grazie al vaccino sviluppato in partnership con Biontech ha visto i ricavi schizzare nel 2021 a 80 miliardi di dollari, livello che prima del Covid “speravo saremmo stati in grado di raggiungere nel 2030”, rivela Bourla. Fino a pochi mesi fa il piano era di produrre e vendere le terze dosi e avviare poi, a fine 2022, un richiamo annuale per tutti. Ora però è possibile che la necessità di somministrare prima una quarta dose faccia slittare il richiamo annuale al 2023.

Parlando all’analista incaricato di valutare le prospettive delle azioni Pfizer e la capacità dell’azienda di generare dividendi per gli investitori, il manager sottolinea che tra “le poche cose che sappiamo” del Covid c’è ormai il fatto che “non se ne andrà, rimarrà anche per un decennio. E’ endemico, ha la capacità di creare varianti per cui, in un modo o nell’altro, continuerà a convivere con il genere umano per i prossimi anni. Credo sia quello che la maggioranza degli scienziati e principali opinion leader direbbero di credere”. La seconda cosa che sappiamo “è che i vaccini e l’immunità naturale non durano molto. Lo sappiamo con tutte le varianti finora, e stiamo per scoprirlo anche con Omicron: la risposta immunitaria dura pochi mesi. Per questo ho fatto la previsione che avremo bisogno di una serie di tre dosi e poi una rivaccinazione annuale per mantenere un buon livello di immunità”. Ma questa oggi “è’ una sfida, perché le nuove varianti stanno introducendo il concetto di una quarta dose prima di un anno”. In conclusione, “credo che lo scenario più probabile sia una vaccinazione annuale, ma credo che questo succederà negli anni a venire”. Quindi dal 2023.

Bourla è invece ottimista su Paxlovid, la pillola antivirale autorizzata a fine dicembre dalla Fda per il trattamento del Covid, ma spiega che la produzione richiederà molti mesi. “E’ una cosa che possiamo gestire molto meglio rispetto alla produzione di mRNA. Non è tecnicamente impegnativo. È che ci vuole tempo soprattutto per sintetizzare il principio attivo, quindi la chimica richiede mesi. Dobbiamo avere una pianificazione, diciamo, di 9 mesi prima, perché se il principio attivo richiede 6 mesi (…) L’unico motivo per cui abbiamo iniziato appena un mese dopo l’approvazione a inviare prodotti in tutto il mondo in questo momento è perché abbiamo iniziato molto tempo fa a produrre a rischio. Questo è il motivo per cui siamo in grado di passare da 50 milioni a 80 milioni e poi a 120 milioni di trattamenti entro la fine dell’anno“.

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