di Adriano Tedde, ricercatore, ex diplomatico

La recente evoluzione delle misure anti-Covid in Australia potrebbe essere riassunta con le due parole del titolo dell’editoriale di Marco Travaglio del 4 gennaio: Fallimento totale. La variante Omicron ha investito l’Australia nel mese di dicembre colpendo in particolare lo stato del Nuovo Galles del Sud, con capitale Sydney, oggi epicentro dell’epidemia in questo paese.

Dopo un iniziale tentennamento sulle decisioni da assumere per contrastare il virus all’inizio del 2020 e un grave ritardo nella campagna vaccinale dell’anno scorso, l’Australia era riuscita a limitare di molto i contagi adottando una politica di “zero contagi”, che ha permesso uno stile di vita invidiato da tutto il mondo. Con l’esclusione di un lungo lockdown a Melbourne tra agosto e ottobre del 2021, la maggioranza dei cittadini australiani è riuscita a condurre un’esistenza in gran parte “normale”, continuando a lavorare, mandando figli a scuola e conducendo regolari attività sociali e ricreative. Tutto questo è stato possibile grazie a una rigida chiusura dei confini internazionali, numerosi episodi di lockdown brevi e limitati a regioni specifiche, misure rigide di quarantena e distanziamento e un ottimo funzionamento del tracciamento dei contatti.

A ogni nuovo contagio, le autorità sanitarie locali sono sempre state in grado di pubblicare dati precisi su tempi e luoghi d’esposizione a potenziale contagio da parte delle persone infette. Le misure finora adottate sono decise a livello statale, ossia dai “premier” locali, che hanno poteri estesi in numerose materie, incluse la sanità e la pubblica istruzione. E mentre le autorità locali si sono dedicate a individuare le misure utili a contrastare i contagi, il governo federale si è essenzialmente limitato a un’azione di coordinamento, offrendo linee guida e provvedendo a siglare contratti per l’approvvigionamento di vaccini.

Nel corso di questi ultimi due lunghi anni, in più occasioni il governo di Canberra si era scontrato con i governi statali, criticando lockdown considerati eccessivamente rigidi e dannosi per l’economia. Questo scontro ha spesso assunto il carattere di un’opposizione puramente politica, vedendo il partito liberale, la cui coalizione guida il governo federale, criticare apertamente i governi laburisti a Melbourne, Perth e Brisbane, rei di avere adottato misure “liberticide”.

Con l’arrivo di Omicron, tutto sembra essere stato spazzato via in poche settimane. I contagi si moltiplicano rapidamente e il tracciamento è ormai saltato. Il Natale a Sydney ha visto un’esplosione di casi (quasi due persone ogni mille abitanti) con file interminabili ai centri per il test, l’assalto alle farmacie, dove da giorni è impossibile trovare i tamponi andati a ruba proprio come la carta igienica nel 2020, e il tilt delle help-line telefoniche. Questo drammatico cambiamento dell’Australia da fortezza anti-Covid a centrale del Covid si spiega principalmente con la politica. I maggiori “strateghi” della nuova politica anti-Covid sono il primo ministro federale, Scott Morrison, e il premier del Nuovo Galles del Sud, Dominic Perrottet, che a ottobre ha preso il posto di Gladys Berejiklian, dimissionaria a causa di un conflitto di interessi.

Perrottet, giovane avvocato legato al mondo delle banche e della finanza, figlio di un importante esponente della Banca Mondiale, a metà dicembre aveva eliminato ogni misura di distanziamento, l’uso dei codici Qr per il tracciamento all’ingresso dei luoghi pubblici, e l’uso delle mascherine – reintrodotte d’urgenza soltanto il 24 dicembre per i luoghi pubblici al coperto. Parlando ai giornalisti mentre spillava la birra in un pub, il premier aveva indicato che era arrivato il momento di trovare un nuovo equilibrio tra salute pubblica e crescita economica, segnalando come la prima sia essenzialmente una faccenda di responsabilità individuale. In altre parole, il premier si è fatto portatore di istanze neoliberiste che prediligono un ruolo contenuto del settore pubblico a favore dell’iniziativa privata, facendo ricadere sul cittadino-consumatore l’onere per servizi essenziali, come la sanità e l’istruzione.

Per questo, all’insegna dell’invito alla ripresa piena dei consumi – incluse le epiche sbronze da pub australiano – nonostante il collasso degli ospedali che invitano la popolazione a non fare uso dei pronto soccorso, Sydney ha celebrato il capodanno come da copione, con concerti e fuochi d’artificio.

Il primo ministro Morrison, dopo avere presieduto una seduta del consiglio dei ministri dove, in piena emergenza da contagi, si è discusso esclusivamente della nuova definizione del termine close contact (contatto ravvicinato) come “coinquilino con il quale si sono passate almeno quattro ore”, ha annunciato che il governo federale non si intrometterà nel libero mercato per procurare nuovi stock di test rapidi e calmierarne i prezzi. All’osservazione dei giornalisti su come il mancato intervento non consentirà a molti australiani meno abbienti di accedere ai test, Morrison ha laconicamente risposto che il fatto che alcune persone possano permettersi certi servizi e altre no è una cosa assolutamente normale (some people can, some people can’t).

Perrottet e Morrison sono dietro a una scelta definita come la politica del “lasciar correre” (let it rip), che sta alimentando la convinzione in Australia che la nuova variante sia il colpo di coda del virus e possa gestirsi facilmente in casa da parte di cittadini responsabili, senza l’intervento delle istituzioni pubbliche. Questo lascerà esposti a gravi rischi numerosi soggetti deboli, già adesso impossibilitati ad accedere a cure adeguate.

La dottoressa Kerryn Phelps, dalle pagine del Guardian, offre un riassunto dettagliato di questa politica, chiamandola uno shambolic mess (un casino infernale) e segnalando come i paradossi di queste scelte stiano già venendo a galla, con una sfilza di malati incapaci di recarsi a lavoro che sta mettendo in ginocchio la grande distribuzione e alti settori economici che questa politica scellerata vorrebbe preservare.

Si direbbe quasi che, ispirati dal grande successo del film Don’t Look Up di Adam McKay, i politici australiani abbiano finalmente deciso di sbarazzarsi dell’ingombrante presenza dei consiglieri scientifici dando assoluta precedenza all’imperativo dei guadagni. Proprio come i politici del film che devono affrontare l’arrivo di un pericoloso asteroide: per gli incombenti problemi della sicurezza pubblica c’è sempre tempo, ma di fronte al profitto non si deve perdere un minuto. Si tratta, del resto, dello stesso principio in base al quale è stato annunciato l’arrivo del campione di tennis Novak Djokovic, notorio anti-vax, ai prossimi Open di Australia, in barba al rigido obbligo di vaccinazione per i comuni mortali che vorrebbero entrare o uscire dal Paese.

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