Esistono almeno due motivi per ricordare la carriera di Salomon Kalou. Il primo è la Champions League vinta con il Chelsea nel 2012 nell’incredibile stagione che vide Roberto Di Matteo passare nel giro di due mesi e mezzo da assistente di Andrè Villas Boas a tecnico campione d’Europa. Una campagna alla quale Kalou, ormai da sei anni a Stamford Bridge (lo aveva portato José Mourinho), aveva dato un buon contributo, segnando due reti e giocando quasi sempre titolare (nella finale contro il Bayern Monaco rimase in campo 84 minuti per poi lasciare il posto a Fernando Torres). Il secondo riguarda invece la battaglia che in Olanda oppose Federcalcio e Governo in merito alla sua naturalizzazione, toccando uno dei temi politici più caldi del nuovo millennio, ovvero la questione tra cittadinanza e immigrazione.

C’è però anche un altro motivo per parlare di Kalou, in questo caso riguardante però la sua vita post-calcio. Pur non essendosi ancora ritirato ufficialmente – da 8 mesi si allena in Portogallo con la Belenenses dopo un’esperienza nel Botafogo – l’attaccante ivoriano ha già organizzato il proprio futuro una volta appesi gli scarpini al chiodo, e sarà quello di allevatore di polli. Una scelta imprenditoriale singolare che il giocatore ha ufficializzato parlandone per la prima volta al settimanale olandese Voetbal International. Kalou possiede attualmente un allevamento in Costa d’Avorio di circa 600mila polli, con la sua azienda che rifornisce di uova e pulcini le piccola fattoria del paese. L’obiettivo dichiarato dal calciatore è quello di diventare l’allevatore leader della Costa d’Avorio, in modo tale da ridurre le importazioni e, di conseguenza, abbassare il prezzo. “Stiamo cercando di espandere la produzione di polli”, dice Kalou, “perché in Costa d’Avorio la domanda è maggiore dell’offerta. Oggi buona parte del pollo viene importato congelato dall’estero e per tante persone il suo costo diventa un problema. Senza dimenticare la qualità del prodotto che entra nel paese”.

L’interesse di Kalou per la vita contadina non nasce dal nulla. Nato e cresciuto nella cittadina di Oumé, i suoi nonni e un suo zio erano agricoltori, “e questo mi ha sempre reso consapevole e sensibile riguardo la provenienza del cibo”. Non è un caso che Kalou sta lavorando per importare in Costa d’Avorio il progetto olandese delle Floating Farms, le fattorie galleggianti, che prevede lo sfruttamento di aree dismesse o a basso utilizzo di porti, banchine industriali e commerciali, normalmente a ridosso delle città. Utilizzando un sistema di produzione circolare che coinvolge tutte le fasi di lavoro, dal nutrimento per gli animali alla produzione di energia fino all’utilizzo di acqua, queste fattorie cercano di proporre un’attività sostenibile in ambienti urbani densamente popolati. La prima floating farm è stata inaugurata nel 2019 a Rotterdam e, tra le altre cose, utilizza l’erba tagliata dello stadio del Feyenoord, il De Kuip, come foraggio.

Solo un anno e mezzo fa Kalou giocava ancora in Bundesliga tra le fila dell’Hertha Berlino, prima di essere licenziato dal club, dopo sei anni di permanenza, per aver pubblicato su Facebook un video che mostrava sia come nello spogliatoio del club non venisse rispettata la normativa per la sicurezza anti Covid-19, sia compagni e staff che si lamentavano del taglio dello stipendio. Di fatto, la sua carriera a certi livelli si è conclusa lì. “Da calciatore vivi in una bolla e pensi che tutto il mondo ruoti attorno al calcio”, dichiara l’ivoriano. “Infatti molti quando si ritirano prendono il patentino per allenare o vanno a fare gli opinionisti in tv. Io ho invece cominciato a vedere nel calcio un piano B: il pallone sarà sempre parte di me, ma è stimolante cercare nuove strade e occuparsi di altro. Credo molto nelle mie aziende e in questa mia nuova vita”.

Kalou avrebbe dovuto giocare i Mondiali 2006 con la maglia dell’Olanda. Nel Feyenoord, in coppia con Dirk Kuijt, faceva faville, e l’allora c.t. oranje Marco van Basten lo aveva messo in cima alla lista dei potenziali convocati per la coppa del mondo in Germania. C’era però un piccolo problema: Kalou non possedeva la cittadinanza olandese e, a detta del Ministro per l’Immigrazione e l’Integrazione dell’epoca, la signora Rita Verdonk, nemmeno requisiti tali da poter applicare la procedura d’urgenza derivante “dell’alto contributo culturale (inclusi i meriti sportivi, nda) offerto al paese”. Essere un grande talento emergente, insomma, non bastava per il Governo olandese, ma era più che sufficiente per c.t., Federcalcio e più in generale tutto il mondo dello sport. Il dibattito in Olanda fu enorme, con interrogazioni parlamentari e scontri tra Ministri. Il caso Kalou si concluse con la valutazione di “niet ingeburgerd” (non integrato) firmata dal Ministro Verdonk. In seguito Kalou ha disputato due mondiali, 2010 e 2014, con la Costa d’Avorio.

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