Teniamo puntigliosamente il conto dei Comuni italiani sciolti per mafia – in questo momento sono più di 200, fra gli ultimi San Giuseppe Jato, nella foto – ma poco o nulla sappiamo di cosa succede davvero alle casse di un municipio in cui la criminalità organizzata è in grado di condizionare le scelte politiche e amministrative. Una ricerca appena pubblicata dà qualche risposta: dove governano i mafiosi, la spesa pubblica per la raccolta dei rifiuti e per le opere edilizie è maggiore del 14% rispetto ai comuni non infiltrati. Una cifra considerevole, visto che si tratta di voci di budget in genere già molto pesanti. Parallelamente, la ricerca registra un crollo del 20% nella riscossione della tassa dei rifiuti rispetto al gettito atteso.

“I risultati complessivi sembrano dimostrare che i gruppi criminali prendono il controllo degli enti locali per dirottare le risorse pubbliche verso settori dove hanno interessi strategici”, scrivono gli economisti Marco Di Cataldo dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Nicola Mastrorocco del Trinity College di Dublino nel loro studio appena pubblicato su The Journal of Law, Economics & Organization.

Non è che la spesa pubblica di questi Comuni esploda in favori e sprechi, come ci si potrebbe aspettare. Semplicemente, il bilancio viene modificato secondo le convenienze dei clan. “L’impatto sulle scelte di investimento non porta necessariamente a un aumento della spesa, ma a una sua ridefinizione, più difficile da identificare”, commenta De Cataldo. “Vediamo l’aumento di impegni di spesa per opere pubbliche di edilizia e gestione dei rifiuti, a discapito generalmente di servizi come trasporto pubblico e illuminazione pubblica”. Mentre tendono a restare stabili gli stanziamenti in servizi sociali, istruzione, polizia locale, amministrazione.

I settori individuati non costituiscono una sorpresa, dato lo storico attivismo delle imprese mafiose nel ciclo dei rifiuti e nel mattone, ma è la prima volta che una ricerca accademica quantifica l’impatto economico del condizionamento mafioso su un ente pubblico. Per farlo, i ricercatori hanno preso a campione tutti i 1738 Comuni di Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata e Puglia e hanno confrontato i dati di bilancio fra quelli sciolti per mafia secondo la legge 164 del 1991 e quelli che non hanno mai subito il provvedimento.

Esaminando le sentenze di scioglimento, i ricercatori hanno individuato diverse modalità con cui il crimine organizzato si infiltra nelle amministrazioni comunali. In modo diretto, come nel caso di Nardodipace (Vibo valentia) dove il figlio del boss è stato vicesindaco, o più indiretto come nel caso di Cinisi (Palermo) o Gricignano di Aversa (Caserta) che hanno visto accordi pre-elettorali con i clan. Ricorrente anche la compravendita di voti, che emerge dalla sentenza che ha sciolto Seminara (Reggio Calabria).

Meno frequente la conquista di un municipio con minacce e intimidazioni. È accaduto pr esempio ad Africo (Reggio Calabria). Ma nella maggior parte dei casi la mafia conquista i nostri comuni soprattutto facendo accordi con la politica. Alla pari.

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