“Le streghe uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, le donne, gli animali da tiro, le mandrie, le greggi e altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare, morire le vigne, le piantagioni da frutta, i prati, i pascoli, la biada, il grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; impediscono quegli uomini di procreare e alle donne di concepire…”. E’ un passaggio del Malleus Maleficorum, uno dei principali testi usati contro la stregoneria, una sorta di manualetto del perfetto inquisitore, reso pubblico nel 1487, che elenca nel dettaglio le pratiche perseguibili, restando però ambiguo e interpretabile a seconda dell’uso che se ne volesse fare. Ma già da due secoli che le streghe erano diventate nemico pubblico, per volontà della Chiesa cattolica. Nel 1252 Papa Innocenzo IV aveva autorizzato la pratica di tortura per estorcere confessioni. Nel 1326 la Chiesa aveva dichiarato di considerare la stregoneria simile all’eresia e, successivamente, Papa Alessandro IV aveva attribuito all’Inquisizione ogni potere persecutorio contro soggetti giudicati ambigui e imputabili di stregoneria. Infine, nel 1484, proprio il 5 dicembre, Papa Innocenzo IV aveva emanato la bolla Summis desideranctis affectibus e ordina di inquisire sistematicamente tutte le donne sospettate di stregoneria.

Gli Ordini mendicanti si fanno mente e braccia dei processi e costituiscono la grande riserva di personale colto e specializzato, pronto a sentenziare sul carattere eretico della stregoneria e ad additare le imputabili. All’Inquisizione e agli Ordini mendicanti si aggiungono i Tribunali civili che diventano il braccio secolare di tali processi, che si diffondono in tutta l’Europa cattolica e protestante. L’ultima donna che viene condannata per stregoneria si chiama Anna Goldi, siamo nel 1782, nella Svizzera calvinista. La caccia alle streghe ha attraversato cinque secoli di storia europea, inserendosi all’interno di eredità culturali e materiali, di cambiamenti storici. Attraversa soprattutto, anche se potrà sembrare insolito, l’Umanesimo Rinascimento. Non è la prima volta che si sente parlare di streghe: già in alcuni testi romani si trovano descrizioni di rituali, sortilegi e pratiche demoniache. Si tratta di narrazioni che attraversano la storia umana, in uno strano equilibrio conflittuale tra razionale e irrazionale.

È però durante il tardo medioevo e sempre più durante il Rinascimento, che i testi romani iniziano a essere ripresi; arrivano le traduzioni dall’Oriente e assieme ai mercanti circolano le merci e circolano alcune idee, mentre le cose stanno cambiando. Infatti, questo periodo storico, oltre ad aver visto fiorire arte e scienza, è quello iniziato con la recinzione dei campi da parte dei proprietari terrieri, con l’ascesa mercantile, la scoperta dell’America e il colonialismo. È il periodo articolatosi fino alle più attuali forme del capitalismo globale contemporaneo.

Il punto comune è quello di una trasversale trasformazione, che coinvolge l’Europa, le comunità che la abitano e le dinamiche di potere che la percorrono. Il ruolo femminile è centrale, benché poco osservato dalla prospettiva culturale occidentale, sviluppatasi sulla base di modelli di potere (e quindi anche di capacità di narrazione e trasmissione culturale) fortemente maschili ed eurocentrici. Secondo la lettura di tipo storico materialista e di derivazione marxista di Silvia Federici – sociologa, accademica, filosofa, attivista e autrice di moltissimi saggi tra cui Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria e Caccia alle streghe, guerra alle donne – la caccia alle streghe, così come la tratta degli schiavi e la conquista dell’America, è stata un elemento fondamentale all’instaurazione del sistema capitalistico moderno, avendo mutato in maniera decisiva le relazioni sociali, a partire dalle relazioni tra donne e uomini e donne e istituzioni.

Le donne e i loro corpi si trovano in mezzo a questi processi, ci partecipano, li subiscono, li contrastano. Loro stesse, i loro uteri, il loro bagaglio culturale e la loro funzione sociale, rappresentano il luogo di riproduzione della forza lavoro e della comunità. Sono le donne, le madri, che partoriscono i figli, li allevano e crescono, che nutrono la propria famiglia, che sostengono gli aspetti non immediatamente monetizzabili del vivere sociale. Le donne, le madri, ma anche le levatrici e le balie – le lavoratrici della cura – che, non a caso, rappresentano la categoria più sospettata e accusata di stregoneria. Si potrebbe dire, come afferma Federici, che “dalle torture e dalle esecuzioni inflitte alle donne accusate di stregoneria le altre donne hanno velocemente imparato a essere obbedienti e silenziose e a sottomettersi al duro lavoro e agli abusi degli uomini così da essere socialmente accettate”. È in effetti in questo momento che si inizia a contrastare la resistenza femminile, costruendo il mito della stregoneria, compiendo una larga demonizzazione del genere e costruendo un modello alternativo di femminilità borghese cui conformarsi. All’interno di questo modello emerge una gerarchia sociale che colloca le donne in posizione subordinata rispetto agli uomini e ne svaluta il lavoro riproduttivo, raccontato come mansione naturale e non come elemento necessario al capitalismo, che ne trae forza lavoro e indirettamente profitto.

Ma come prende forma tutto ciò? Semplificando, possiamo osservare delle realtà economiche locali e comunitarie dell’Europa tardo medievale che, in maniera graduale ma sempre più incalzante, si trovano ad affrontare un nuovo sistema di commercializzazione delle terre, mentre inizia ad arrivare anche l’oro dalle Americhe. Per il cibo cominciano a servire le monete e molte e molti iniziano a spostarsi verso zone più urbane per poter guadagnare qualcosa e diventare manodopera non qualificata e a basso costo nelle periferie cittadine. Nei villaggi c’è la fame, aggravata da periodi di troppa pioggia e carestia: cresce la mortalità infantile, diminuiscono le nascite, muoiono anche un po’ di animali. È anche un periodo di rivolta. Si ha una crisi del potere feudale e in tutta l’Europa, i grandi movimenti comunitari e i contadini ribelli si oppongono alle vecchie gerarchie feudali, alle nuove forme di potere e alla privatizzazione delle terre. Si pensi alla rivolta anabattista al grido di Omnia sunt communia. La “monetizzazione della vita economica”, la dimensione mercantile, divengono un nodo problematico: con il denaro i signori feudali acquisiscono uno strumento in più per il controllo della vita dei contadini, pagati poco, portati a indebitarsi e a legarsi alla terra come “servitù della gleba”. Molte donne stanno dentro questi processi, mentre cresce il bisogno di normarle nell’interesse dell’ordine costituito e della transizione capitalistica.

Federici ci racconta però di tante donne che rifiutano questa nuova costruzione della società e del femminile. Ci parla di donne che partecipano al movimento di fuga dalle campagne verso le nascenti città, segnalate da preti e tribunali come “indisciplinate”, poiché spesso molto presenti nei movimenti popolari e specialmente in quelli eretici. Questi ultimi, solitamente bollati come movimenti oscurantisti, secondo Federici hanno rappresentato “un movimento di protesta che aspirava a una radicale democratizzazione della vita sociale” in cui avevano un ruolo molto importante quelle donne che si rivoltavano anche contro forme di “addomesticamento sessuale e dei corpi” e che sostenevano scelte sessuali eterodosse come “forma di resistenza antiautoritaria, un tentativo che gli eretici hanno fatto di strappare i propri corpi dalla morsa del clero”. In maniera molto simile appare importante anche l’attacco alla “visione magica” del mondo, al patrimonio rituale sovente tramandato dalle donne, che era visto di per sé come improduttiva “fonte di insubordinazione”. Le donne appaiono in prima fila anche nelle lotte contro la privatizzazione delle terre poiché, avendo meno potere sociale e minore possibilità di accesso alla terra tessa, dipendevano maggiormente dalle terre comuni per la propria sussistenza e la propria autonomia e socialità. “Le terre comuni costituivano il centro della loro vita sociale, il posto in cui si ritrovavano, in cui scambiavano notizie, si consigliavano e in cui prendeva forma un punto di vista femminile, svincolato da quello degli uomini, sugli eventi della comunità”.

Le donne si manifestano dunque come forza centrale di ribellione nella fase di originario radicamento del capitalismo in Occidente e Federici sottolinea nella sua ricerca proprio come dalla necessità di arginare questa forza e ristabilire gerarchia, la figura femminile sia stata progressivamente demonizzata, sottomessa, indebolita, relegata nello spazio domestico, resa dipendente dal salario dell’uomo e soggetta alla violenza di quest’ultimo. Ciò è avvenuto in varie forme, che trovano linee di continuità e riformulazione storica, sottolineate dall’autrice che evidenzia il sempre crescente controllo sui corpi delle donne, visti come macchine per la produzione di forza lavoro, realizzato non solo attraverso la caccia alle streghe – che comunque continua nei luoghi come l’Africa, in parallelo a una forte penetrazione delle terre da parte dell’industria mineraria, agro-industriale, agro-combustibile – ma anche attraverso l’introduzione di nuove forme di controllo su maternità, gravidanza, aborto e con il continuo sostegno di una ristretta ideologia della morale sessuale, non meno presente nell’occidente contemporaneo.

Articolo Precedente

Pisa, all’Università gli studenti chiedono i bagni neutri: “Entro giugno in ogni edificio dell’ateneo ci sarà una toilette gender free”

next
Articolo Successivo

“Zaki picchiato in cella”, poi l’associazione “Patrick libero” si corregge: “Un malinteso, speriamo non sia pretesto per rappresaglie”

next