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Eutanasia, dopo il caso di ‘Mario’ è chiaro: l’unico modo per arrivare alla legge è il referendum

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“Mario”, nome di fantasia a tutela della sua privacy, è la prima persona in Italia a ricevere il via libera al suicidio assistito. “Mario” è marchigiano, tetraplegico, immobilizzato da 10 anni. Oltre un anno fa ha chiesto all’azienda ospedaliera locale che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere legalmente in Italia ad un farmaco letale per porre fine alle sue sofferenze, in applicazione della sentenza di incostituzionalità della Corte Costituzionale n. 242/2019 che indica le condizioni di non punibilità dell’aiuto al suicidio assistito.

Dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (Asur), una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona e ben due diffide legali all’Asur, “Mario” ha finalmente ottenuto il parere del Comitato etico dell’Asur Marche. Il Comitato etico, a seguito di verifica delle sue condizioni tramite un gruppo di medici specialisti, ha confermato che “Mario” possiede i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito così come stabilito nella sentenza Cappato-Antoniani della Corte Costituzionale.

Dopo aver letto il parere, “Mario” ha commentato: “Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni”.

Ma cosa succede, intanto, in Parlamento? Mentre i tribunali procedono, il Parlamento continua a rinviare (o porta avanti con esasperante lentezza) il dibattito sul testo di una legge di iniziativa popolare che è stata depositata alla Camera dalla Associazione Luca Coscioni nel settembre del 2013 con 67.000 firme di cittadini elettori (divenute molte di più nei mesi successivi) ed è rimasta nei cassetti delle Commissioni competenti per diversi anni. Fra l’altro, Marco Cappato – tesoriere della Associazione e protagonista della famosa vicenda del dj Fabio Antoniani, che lo stesso Cappato e Mina Welby accompagnarono a morire in Svizzera – ha dato vita ad un Intergruppo parlamentare in favore della eutanasia, cui hanno aderito decine di deputati di diverse parti politiche.

La prossima seduta di discussione all’interno delle Commissioni parlamentari competenti (Giustizia e Sanità) è prevista per il 9 dicembre, mentre l’invio del testo unificato all’Aula della Camera è rimandato al 13 dicembre.
Nelle stesse ore dello scaricabarile di Regione Marche sul caso di Mario, in Commissione alla Camera c’è da prendere atto che c’è parere contrario agli emendamenti sull’eutanasia legale da parte dei relatori Bazoli (Pd) e Provenza (M5S).

“Per loro, la legge deve riguardare solo le procedure di ciò che è già legale: l’aiuto medico al suicidio”, dice Marco Cappato che continua: “Secondo Bazoli e Provenza, dunque, una persona totalmente paralizzata dovrebbe essere discriminata nella possibilità di essere aiutata a morire”.

Di fronte a tale scelta politica dei principali gruppi parlamentari, che sulla carta avrebbero potuto non essere ostili alla regolamentazione dell’eutanasia, è evidente che l’unico strumento per arrivare all’eutanasia legale sarà il Referendum di abrogazione parziale del reato di “omicidio del consenziente”, sottoscritto da 1.240.000 cittadini. Aspettiamo dunque che la primavera ci porti finalmente – con il voto a favore di una larga maggioranza di elettori – alla possibilità di una “morte opportuna”, come la definì Piergiorgio Welby.

Ricordo fra l’altro ai miei lettori un dato che viene sempre trascurato dai politici e dalla stampa: secondo le rilevazioni dell’Istat, ogni anno si registrano in Italia oltre mille suicidi di malati, lo stesso numero dei morti per infortuni sul lavoro, per i quali giustamente si alza con forza la denuncia di giornalisti e politici, fino al Capo dello Stato.

E solo chi ha seguito da vicino la vicenda di uno di questi suicidi può capire quanta sofferenza precede e segue questa tremenda decisione. E quel che ho vissuto io con mio fratello Michele, malato terminale di cancro, che decise di porre fine alle sue atroci e inutili sofferenze gettandosi dal quarto piano della sua casa di Roma: uno dei tanti – dei troppi – che finiscono in forme atroci (l’impiccagione è “lo strumento” di suicidio più frequente, sempre secondo i dati dell’Istat) perché in Italia non è consentita quella eutanasia che da anni è lecita in molti paesi del mondo.

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