di Fabio Rotondo, The Good Lobby

Il 22 novembre a Montecitorio poteva essere una giornata davvero speciale: dopo quasi 50 anni di tentativi falliti, finalmente si poteva portare alla Camera una legge sul lobbying in grado di regolamentare i rapporti tra la politica e i portatori d’interessi, i cosiddetti lobbisti. Invece no, nemmeno stavolta ce l’abbiamo fatta nei tempi auspicati a far discutere in Aula una proposta di legge che ci chiede mezzo mondo: dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) alla Commissione Europea, dal Gruppo di Stati contro la Corruzione del Consiglio d’Europa (Greco) all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Non solo, in Italia lo chiedono a gran voce le 31 organizzazioni della coalizione Lobbying4Change, le società di lobbying e consulenza e gli oltre 17.600 cittadini che hanno firmato la nostra petizione.

Perché servirebbe una legge sul lobbying proprio ora? Semplice: sono già in parte arrivati – ma ne arriveranno molti di più – i fondi europei del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (Pnrr) e al momento non c’è nessuna legge in grado di mettere in luce chi influenza le decisioni del governo, del Parlamento e delle Regioni per la gestione dei fondi. Non solo serve trasparenza dei rapporti tra i decisori pubblici e chi vuole mettere mano sui fondi, ma anche un processo decisionale inclusivo che faccia sedere al tavolo pure chi di solito viene lasciato fuori dai palazzi, come le associazioni della società civile, per esempio. Una legge sul lobbying è un primo passo per garantire trasparenza e inclusione nella gestione del Pnrr; il secondo è una legge sul conflitto d’interessi.

Come mai la legge non è stata discussa alla Camera? Nessuno lo sa. Fino ad ora la Commissione Affari Costituzionali aveva lavorato bene: ad agosto erano state unificate le tre proposte di legge del Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Partito Democratico, a settembre sono stati presentati gli emendamenti e la proposta di legge era nel calendario d’Aula per il 22 novembre. A bloccare l’iter è stato il Dipartimento della Funzione Pubblica, presieduto dal Ministro Renato Brunetta, incaricato dal Governo di fornire un parere sugli emendamenti. Questo parere è arrivato con settimane di ritardo anche grazie alla pressione della coalizione Lobbying4Change. Lunedì 22 abbiamo infatti lanciato un social bombing, pubblicando le nostre foto e quelle di tutte le attiviste e gli attivisti con un cartello che chiedeva di sbloccare l’iter, taggando su Twitter il Ministro Brunetta, il Dipartimento della Funzione Pubblica e i capigruppo dei principali partiti della Commissione Affari Costituzionali.

Grazie alla nostra azione il Governo si è finalmente mosso ma il rischio che la legge venga affossata definitivamente è ancora molto alto. Da una parte, c’è il fattore tempo: se non si va subito al voto, la Camera sarà poi impegnata fino alla fine dell’anno il Parlamento sarà impegnato con la Legge di Bilancio per poi passare alla delicata elezione del Presidente della Repubblica all’inizio del 2022. Insomma, non se ne riparlerebbe prima di febbraio…

Dall’altra parte, però, a minare la portata del provvedimento potrebbero essere anche alcuni emendamenti trasversali salva Confindustria e sindacati a firma Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Coraggio Italia, Partito Democratico, Gruppo Misto, Italia Viva, che consentirebbero alle associazioni imprenditoriali e sindacali di essere esonerati dagli obblighi della legge. Se approvati, questi emendamenti consentirebbero ai principali attori con maggior potere di influenza sui processi decisionali di incontrare i ministri, i funzionari del Governo e i parlamentari senza doverne lasciare traccia, mentre ad esempio le organizzazioni della società civile, fin troppo spesso escluse dai tavoli decisionali, dovrebbero giustamente registrare in trasparenza i loro incontri con i decisori. Come se non bastasse c’è anche chi ha presentato emendamenti per ridurre o eliminare il periodo di raffreddamento per i politici che lasciano il proprio incarico per approdare nel settore privato o viceversa, il cosiddetto fenomeno delle porte girevoli.

La politica italiana ci ha abituati a evocare di continuo la trasparenza, ma alla prima occasione in cui avrebbe la possibilità di trasformare le promesse in azione (e legge), ecco che saltano fuori gli ostacoli: dagli emendamenti in grado di sabotare l’efficacia di un provvedimento normativo bloccando l’iter di una legge su cui in teoria sono tutti d’accordo. Il Governo italiano dovrebbe dare ascolto alle raccomandazioni degli organismi internazionali e soprattutto rispondere agli oltre 17.600 cittadini e centinaia di attivisti che chiedono strumenti per prevenire i rischi di un cattivo uso dei fondi del Pnrr. Il primo passo sarebbe approvare la legge alla Camera entro quest’anno.

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