Dopo dieci anni di sanguinosa guerra civile e incessante lotta per il potere, le prime elezioni democratiche libiche dalla caduta di Muammar Gheddafi confermano la frammentazione che ha caratterizzato il Paese negli ultimi anni e che ne ha impedito la costituzione di un governo duraturo e legittimato da tutte le realtà presenti. Alla scadenza della deadline per la presentazione delle candidature alla nuova presidenza della Libia, in vista del voto del 24 dicembre, sono infatti 98 le persone che hanno deciso di intraprendere la corsa elettorale, come preannunciato dal sito Ean Libya in vista di un annuncio ufficiale da parte dell’Alta commissione elettorale libica (Hnec) che poi sottoporrà le candidature al vaglio della magistratura e di un’autorità amministrativa per ulteriori controlli.

Ciò che maggiormente preoccupa gli osservatori è il fatto che i nomi più in vista siano anche quelli che creano maggiori tensioni tra gli oppositori, con il rischio di un mancato riconoscimento del risultato elettorale e lo scoppio di nuove tensioni che romperebbero una tregua che dura ormai da mesi. E tutta l’attenzione si concentra su due candidati di primo piano, il figlio dell’ex Raìs, Saif Al-Islam Gheddafi, e il generale Khalifa Haftar. Dure proteste si sono levate nei giorni scorsi dai leader di diverse città del Paese, in particolar modo della zona di Misurata che vanta potenti milizie, nemica dell’uomo forte della Cirenaica e dalla quale iniziò, nel 2011, la rivolta contro il regime gheddafiano. Adesso anche il viceprocuratore militare libico, Mohammed Gharouda, ha affermato che il suo ufficio attende sempre una risposta alla lettera in cui ha chiesto all’Alta Commissione elettorale nazionale (Hnec), incaricata di valutare la legittimità delle candidature, di respingere quelle di Gheddafi Jr. e di Haftar a causa di un loro coinvolgimento in crimini di guerra. Gharouda parlando in tv ha ricordato che contro il generale e il secondogenito del defunto Raìs sono state intentate anche cause civili, con il procuratore militare, Masoud Erhouma, che ha già presentato una richiesta all’Hnec per congelare le due candidature fino a quando non saranno sottoposti a interrogatorio sui casi presentati in tribunale contro di loro. Saif al-Islam è anche ricercato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja fin dal 2011 per crimini contro l’umanità.

Un’ipotetica bocciatura di queste due candidature rischierebbe però di scatenare il caos nel Paese, impedendo lo svolgimento di elezioni libere e democratiche. Se per quanto riguarda Gheddafi i sondaggi di diversi media, tra cui al-Arabiya, sostengono che tra il 50% e il 70% della popolazione non sia contraria a un governo guidato da lui, con una sua esclusione che potrebbe generare, quindi, una scarsissima affluenza al voto, nella migliore delle ipotesi, se non rivolte locali, per quanto riguarda Haftar il timore è che il generale torni su posizioni bellicose, dopo la fallita offensiva su Tripoli del 2019, cercando di prendere il potere militarmente impedendo lo svolgimento del voto.

Tra queste candidature si inserisce anche quella ufficializzata qualche giorno fa dell’attuale premier del Governo di Unità Nazionale, Abdul Hamid Dbeibeh. Anche il suo passo in avanti rischia di destabilizzare l’attuale situazione nel Paese: candidandosi, Dbeibeh perde definitivamente l’immagine di primo ministro di transizione e imparziale, esponendosi a critiche tra alcune anime della popolazione, tenendo conto che non avrebbe potuto candidarsi in base alle attuali leggi elettorali libiche e che lui stesso aveva promesso che non si sarebbe presentato alle elezioni di quest’anno, condizione per assumere il ruolo di premier. Per essere eleggibile, avrebbe anche dovuto dimettersi dalle funzioni governative almeno tre mesi prima della data del voto, cosa che non ha fatto.

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