Amo il cinema profondamente, ma non mi capita spesso di commuovermi nel profondo: è capitato con Otto e mezzo, con I quattrocento colpi, con Il dottor Jekyll e Mr. Hyde di Rouben Mamoulian, e con pochissimi altri: tra questi pochissimi ci metto Amadeo, Philippines, un cortometraggio del 2009 di Davide Arosio e Alberto Gerosa. Conosco personalmente Davide Arosio, non conosco il suo amico e collega.

Davide è un matto, pensate che mi ha offerto duemila euro per girare un film documentario sull’amore a Milano, mi ha detto: “Carta bianca, ti do un anno di tempo”. Me lo ha detto un anno fa, non ho ancora girato un’immagine. Quando vogliono pagarmi mi blocco, dovrò decidermi ad andare in analisi prima o poi per capire questo strano fenomeno. Detto questo, stamattina Davide mi ha mandato il link a questo film scrivendomi: “mi dici se ti piace, io non ho ancora capito se è bello”.

Matto. Non hai ancora capito se è bello? È una delle emozioni più belle e pure che ho provato negli ultimi anni vedendo delle immagini. Non è solo l’argomento trattato che mi commuove, è il modo, lo stile, è il cinema in poche parole, il cinema che amo. La mia commozione è puramente cinefila, non è una commozione suscitata dalla pietà, lungi da me questo sentimento davanti alla disabilità. Mai provato pietà davanti a un disabile, solo emozione.

L’occhio cinematografico di Davide e Alberto riesce a catturare per sempre l’amore e la bellezza, il solo fatto della loro presenza rende questo film indimenticabile, una presenza che attraverso il fluire delle immagini, ci dona l’espressività, la gioia, la profondità dell’emozione di chi sa “ascoltare” la vita attraverso lo sguardo. E’ quello che cerco di fare io nel mio piccolo, anche se non ho mai fatto un film di tale bellezza espressiva.

Ora si crea un problema con Davide, è diventato di colpo un mio idolo cinematografico. Non riuscirò più a ubriacarmi con lui senza provare un senso di venerazione e di gratitudine per il film che ha girato insieme al suo amico Alberto Gerosa (che per fortuna non conosco, nel senso che proverei anche nei confronti di un’altra persona un senso di sudditanza cinematografica!).

Come dimenticare questo film? Ma soprattutto: perché dimenticarlo? Ogni immagine, ogni inquadratura resta indelebile in me. La bambina che gioca a chinarsi sulle lapidi del cimitero, la bambina con i tubicini nel naso che improvvisamente sorride come non ho mai visto sorridere nessuno dei cosiddetti “normali” (ed è qui che mi sono scese le lacrime, lacrime di felicità per la bellezza di quel sorriso), il gioco e l’amore che scorre tra gli operatori e i bambini; tutto è sublime perché profondamente umano e religioso, la religione della condizione umana.

Mi ha trafitto questo film. Una freccia luminosa nel cuore, scoccata dall’arco del cinema puro, senza una storia da raccontare, senza una sceneggiatura, senza attori, il cinema che aderisce alla vita, senza sbavature, che si mette in ascolto attraverso l’occhio e fa fluire le immagini e insieme alle immagini la vita. Non dico altro. Ai più attenti e sensibili chiedo solo di dedicare 16 minuti della loro vita per vivere questo film e per godere della bellezza degli esseri umani che vivono con amore la loro avventura su questo pianeta.

Grazie Davide. Grazie Alberto. L’amore a Milano ora come lo giro? Ti rendi conto? Tu hai già girato l’amore, non potrei mai fare nulla di così bello. Mi sa che divento panettiere, in fondo di cognome faccio Farina, no?

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