In un celebre scambio epistolare tra Albert Einstein e Sigmund Freud, avvenuto verso la fine degli anni Venti del secolo scorso, il grande fisico poneva al padre della psicoanalisi la domanda delle domande in quel frangente storico: come è possibile che proprio nella culla della civiltà, ossia l’Europa, sia scoppiata la più disumana delle guerre (si riferiva al primo conflitto mondiale)?
Se oggi volessimo trovare una domanda altrettanto radicale e significativa del periodo che stiamo vivendo, potremmo arrivare alla seguente: come è possibile che mentre i paesi del Terzo mondo protestano perché lì i vaccini contro il Covid-19 non arrivano, nell’economicamente e culturalmente avanzato Occidente (di cui l’Europa fa parte) sono tanti coloro che rifiutano di vaccinarsi con le motivazioni più varie (dal complotto internazionale alla paura per gli effetti collaterali)?

I risultati di questo atteggiamento diffuso – tenendo presente che il non vaccinarsi non è l’unica causa – li vediamo nei numeri impietosi: i contagi stanno tornando a salire in maniera drammatica, mentre le varianti, che si sono generate anche negli organismi di coloro che non hanno voluto vaccinarsi, stanno mettendo a dura prova la capacità degli stessi vaccini di contenere la pandemia.

Al netto delle tante questioni che si potrebbero tirare in ballo (egoismo e irresponsabilità diffuse, fanatismo, incapacità di dialogare con posizioni difformi), credo che la risposta alla domanda del nostro tempo possa essere sostanzialmente questa: proprio nel nostro Occidente iper-tecnologico e scientifico si sta ritornando a un pensiero magico e fanatico. Le caratteristiche di questo pensiero sono l’atteggiamento da stadio o da social network (per cui ti devi schierare di qua o di là in maniera fideistica, netta e possibilmente anche aggressiva), nonché una diffusa incapacità di affidarsi al metodo scientifico.

La prima caratteristica produce i deliri dei no-vax, condannabili in tutto e per tutto, ma anche l’atteggiamento spesso offensivo e dileggiante di chi sta dall’altra parte. Quest’ultimo condannabile nella misura in cui reprime ogni possibilità di dialogo costruttivo, rischiando di generare una “guerra fra poveri” che può soltanto nuocere all’equilibrio sociale.

La seconda caratteristica ci ha fatto completamente dimenticare che la scienza umana non è quella con le risposte immediate, certe e infallibili: essa procede piuttosto per “prove ed errori”, sottolineava Karl Popper. Quindi sì, ha bisogno di tempo, ha bisogno di sbagliare per avanzare e deve continuamente sperimentare.

L’assurdo del pensiero magico impossessatosi della nostra epoca sciagurata, invece, sembrerebbe volere tutto subito (così torniamo a ballare e fare feste, alla faccia della pandemia mondiale che ha ucciso e sta uccidendo milioni di persone), ma anche tutto perfetto. Ciò è vero al punto che l’espressione vaccino “sperimentale” è diventata perfino un marchio d’infamia, come se qualunque medicina non lo fosse, come se sul foglietto illustrativo dell’aspirina non ci fosse scritto che tra gli effetti collaterali ci può essere lo shock anafilattico e financo la morte. Come se la vita stessa non fosse la continua sperimentazione del nostro fallire, cadere, morire.
Pensare di poter realizzare il paradiso in terra, e quindi opporsi a ogni misura umana che non raggiunga la perfezione di quel paradiso, è il modo migliore per generare l’inferno in terra.

Chi volesse conoscere la risposta di Freud alla domanda di Einstein, la può trovare agevolmente anche in Rete. Qui mi interessa sottolineare un altro aspetto. Non era neanche finita la Prima guerra mondiale, che l’Europa fu dilaniata dal virus della spagnola. In pochi anni produsse più morti dei tanti che pur c’erano stati in quel terribile conflitto.

Se ne può trarre una lezione. All’umanità è sempre riuscito facile usare l’ingegno per dividersi e farsi la guerra. Almeno quanto gli è riuscito difficile unirsi e cercare la pace per combattere un nemico comune. Nemico comune che spesso è l’umanità stessa, con la sua ottusa persistenza a cercare pretesti per cui dividersi, invece che ragioni per cui procedere uniti.

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