E’ un argomento di stretta attualità: la transizione ecologica e tutto quello che è collegato. Oggi ritengo doveroso fare luce su alcuni aspetti relativi alla nautica e in particolare alle navi e all’eventuale inquinamento che creano attraverso i propri scarichi. Le normative sia europee che nazionali devono tenere conto di questi aspetti, in ballo ci sono numerosi investimenti e posti di lavoro.

Si fa un gran parlare di cosiddette navi “green”: ma per essere definita tale una nave che requisiti deve avere? La realtà è presto detta: ciò che rende una nave green è soltanto il tipo di carburante che utilizza. Eppure la corretta informazione in merito langue tant’è che ultimamente sono presenti delle compagnie di navigazione che si definiscono verdi quando in realtà non lo sono affatto. Questo – a mio parere – genera, oltre alla confusione in materia, anche una falsa rappresentazione della realtà.

Mi spiego meglio: considerando che il vero spartiacque è il carburante che la nave utilizza, è utilissimo analizzare i sistemi che si trovano a bordo delle imbarcazioni. Quello che va di moda in questo periodo è il cosiddetto “scrubber”, per semplificare, la marmitta catalitica. Le compagnie stanno investendo miliardi di euro per installare sulle proprie navi lo scrubber. Quello che si può notare, come denuncia l’armatore Vincenzo Onorato sul proprio profilo Facebook, questo tipo di navi rischiano di trasferire residui tossici dall’aria al mare.

A quanto si apprende, lo scrubber consentirebbe l’utilizzo di carburanti ad alto contenuto di residui tossici. Invece che ridurre l’impatto ambientale sul mare dunque lo accentuerebbe notevolmente: una finta transizione ecologica.

È ovvio che, in questa situazione, molte compagnie di navigazione potranno speculare, appropriandosi illegittimamente della fantomatica parola “green” o “zero emissioni”. Il vantaggio economico derivante dall’utilizzo dello scrubber poi è chiaro: così facendo, le compagnie di navigazione possono utilizzare un carburante ad elevato potere inquinante ma poco costoso. E il carburante è spesso la prima voce di spesa di una compagnia di navigazione.

Si capisce quindi l’interesse che ruota attorno a questa vicenda.

Ma così si eludono le leggi in materia sull’inquinamento ambientale, nello specifico quelle che riguardano i fumi. Lo scrubber classico cattura lo zolfo estratto dai fumi delle navi attraverso un lavaggio utilizzando l’acqua di mare prima che esca nell’aria. Ma lo zolfo che fine fa? Di certo non sparisce ma viene gettato direttamente in mare. Le navi che utilizzano lo scrubber emettono in media circa 45 tonnellate di acqua di lavaggio contaminata per ogni tonnellata di combustibile bruciato, a cui si aggiungono agenti cancerogeni come ad esempio policiclici aromatici e metalli pesanti.

Lo stesso Onorato fa un esempio di un viaggio dal continente alla Sardegna. Ebbene, considerato che si consumano circa 40 tonnellate di combustibile, verranno espulse nel mare circa 1600 tonnellate di acqua contaminata. Trovo che questo aspetto vada preso in seria considerazione se si pensa che alcuni porti sono utilizzati anche per scopi alimentari, come la miticoltura e gli allevamenti.

Già molte nazioni hanno bandito questo tipo di sistema, urge quindi una dovuta riflessione e normative adeguate anche in Italia. Di certo bisogna evitare la falsa rappresentazione di “green” quando ecologico non è. Ad oggi l’unico rimedio veramente ecologico è quello di utilizzare carburante a basso tenore di zolfo, sistema che ovviamente è più costoso.

La corsa al green e all’ecologico non può tralasciare il rispetto dei veri requisiti ecologici: se non si interviene, si falsa il mercato. Pertanto, merito all’armatore Vincenzo Onorato di aver sollevato questo importante problema e soprattutto di porre la giusta attenzione sulla situazione attuale.

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