Il regime egiziano non ha cambiato pelle e lo stato di emergenza, nonostante la revoca annunciata dal presidente Abdel Fattah al-Sisi alla fine di ottobre, continua a mietere vittime. Oggi pomeriggio la Corte Suprema per i reati di emergenza ha condannato a 5 anni di reclusione e ai lavori forzati il politico, avvocato e attivista Ziad al-Alimi, a 4 anni i giornalisti Hisham Fouad e Hossam Moanes, oltre alle sentenze in contumacia per altri tre attivisti.

Gli imputati dovevano rispondere del caso 957 del 2021, copiato pari pari dal caso 930 del 2019 noto come ‘Alleanza della speranza’ e applicato successivamente per allungare il periodo di detenzione in attesa di giudizio: “Un processo assurdo. La Corte non ci ha consentito neppure di fotocopiare le 30 pagine del fascicolo processuale nei confronti degli imputati – attacca Khaled Ali, noto avvocato a capo di un pool di legali ed ex candidato alle Presidenziali delle 2018, prima del ritiro a pochi giorni dalla scadenza – La difesa non ha avuto modo di studiare il caso e dunque di opporre una qualsiasi resistenza. Ziad, Hisham e gli altri, inoltre, avrebbero dovuto essere processati da un tribunale ordinario e non da quello di emergenza. La sentenza è stata emessa da un tribunale straordinario e la difesa non avrà quindi la possibilità di ricorrere in Appello e tanto meno in Cassazione. Non ci resta che avviare una petizione il cui buon esito è molto difficile. Ingiustizia è fatta”.

Tra gli imputati, in contumacia, anche la sindacalista amica di Giulio Regeni, Fatma Ramadan, di cui da tempo si sono perse le tracce. La notizia delle condanne smorza i toni quasi trionfalistici mostrati da alcuni osservatori e politici in Egitto, secondo cui il regime stava avviando un periodo nuovo sotto il profilo del rispetto dei diritti umani. La revoca dello stato di emergenza, in vigore dall’aprile del 2016, e la liberazione di alcuni difensori dei diritti umani nei mesi scorsi aveva infuso ottimismo in molti: tra questi anche Mohamed Anwar al-Sadat, nipote dell’ex presidente ucciso nell’ottobre del 1981, leader del Partito dello Sviluppo, che in una recente intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it si era detto certo, in sostanza, che le cose stessero cambiando nel Paese dei Faraoni.

Così non sembra, viste le condanne comminate poche ore fa dalla Corte del Cairo legate alla diffusione di false notizie attraverso i social network. Reati fotocopia a quelli per cui è accusato, tra gli altri, anche Patrick Zaki. Anche lui è atteso da una sentenza imminente che potrebbe essere pronunciata il 7 dicembre prossimo, anche lui davanti alla Corte del tribunale di emergenza. Zaki, studente del progetto Erasmus all’università di Bologna, deve rispondere dell’accusa legata ad alcuni scritti pubblicati in passato in cui criticava il governo sul fronte della tutela dei cristiani copti in Egitto. Nei suoi confronti pende un altro caso che fa riferimento invece a una manciata di post pubblicati su Facebook nel settembre del 2019.

Il verdetto amaro contro al-Alimi, Fouad e gli altri non rappresenta un buon viatico in vista di quella giornata che l’Italia attende con ansia. La sentenza di ieri è l’ennesima conferma della strategia messa in atto dal regime del Cairo e segue quella pronunciata alcuni mesi fa nei confronti di Ahmed Samir Santawi, studente egiziano dell’università di Vienna, arrestato al rientro in Egitto per un periodo di vacanza lo scorso gennaio. Santawi è stato condannato a 4 anni, un refrain che rischia di diventare drammatico, a tre mesi dal suo arresto. Al-Alimi, Fouad e Moanes, al contrario, hanno trascorso in cella oltre 25 mesi in attesa di giudizio, con le detenzioni rinnovate ogni 15 e poi 45 giorni, l’altro subdolo sistema messo in atto da al-Sisi per sfinire i suoi nemici dal giorno della presa del potere con il golpe dell’estate 2013.

Colpisce che i tre imputati siano stati condannati anche ai lavori forzati e a una multa irrisoria di pochi euro. Di loro ci eravamo occupati nei mesi scorsi, in particolare di Hisham Fouad, noto giornalista arrestato nel settembre 2019. Le sue condizioni di salute sono peggiorate sensibilmente tra il 2020 e l’anno in corso. Gli appelli inviati alle autorità carcerarie di Tora (dov’è rinchiuso da oltre due anni assieme a centinaia di prigionieri politici) per consentire le cure specifiche sono caduti nel vuoto. Prima della sentenza di Zaki ci sono altri appuntamenti molto importanti: entro la fine di novembre finiranno alla sbarra altri attivisti egiziani di primissimo piano, tra cui Alaa Abdel Fattah, il suo avvocato Mohamed al-Bakr e il blogger Mohamed Oxigen.

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