Finisce una plenaria e, un’ora e mezza dopo, ne inizia un’altra. Ma questa volta i delegati di quasi duecento Paesi sanno che nel documento principale e definitivo della Cop26 sarà apportata una modifica prima della pubblicazione. Perché India e Cina hanno chiesto di modificare il testo finale dell’accordo: gli sforzi di accelerazione verso “l’eliminazione graduale” del carbone diventano meno ambiziosi sforzi per la ‘riduzione’ graduale dell’energia a carbone. Formulazione già indebolita nelle precedenti bozze, perché si punta (ora) a ridurre solo quella che genera emissioni che non si possono abbattere con tecnologie quali la cattura e lo stoccaggio di CO2. E allora molti Paesi mostrano il loro disappunto, come la Svizzera, per la scelta di “annacquare” il linguaggio sui combustibili fossili e sul carbone, ma affermano di accettare comunque il testo. Più delusi, però, sono i Paesi più vulnerabili, che non hanno ottenuto impegni più concreti sull’aumento dei finanziamenti per l’adattamento e per la mancata creazione di una struttura ad hoc per finanziare le perdite e i danni subiti a causa del cambiamento climatico. I delegati delle Isole Marshall e delle Isole Fiji, infatti, esprimono stupore e delusione proprio perché per loro non è stato riaperto l’accordo, mentre è stato fatto per accontentare Cina e India. Il delegato di Antigua e Barbuda fa lo stesso. A quel punto, la reazione emotiva e inaspettata di Alok Sharma che, si prende un momento e chiede scusa per come si è svolto il processo: “Sono profondamente dispiaciuto”. Scatta l’applauso di tutti i delegati presenti, ma a quel punto è chiaro che a vincere il braccio di ferro sono state Cina e India.

L’OBIETTIVO 1,5° ANCORA A PORTATA DI MANO? – C’è da chiedersi se, a questo punto, sia ancora a portata di mano l’obiettivo di restare sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi. Prendendo inoltre di mira solo i sussidi ‘inefficienti’ ai combustibili fossili, con ulteriori esenzioni per le popolazioni vulnerabili, il rischio è che la menzione esplicita dei combustibili fossili per la prima volta in una decisione della Cop diventi solo simbolica. Secondo il rapporto aggiornato sul divario delle emissioni dell’Unep, gli attuali Ndc (contributi determinati nazionali) porteranno a un riscaldamento globale di 2,4° C. Le emissioni globali del 2030 dovrebbero essere del 13,7% in più rispetto al 2010, mentre dovrebbero essere ridotte di almeno il 45% per avere a portata di mano l’obiettivo di 1,5°C entro la fine del secolo. Con questo obiettivo, ora i paesi sono invitati ad aumentare i loro obiettivi 2030 prima di riconvocarsi in Egitto per la COP27 alla fine del 2022.

LA LOBBY DELLE FONTI FOSSILI – “Il documento finale della Cop26, che sta per essere votato nell’assemblea plenaria, sancisce la vittoria delle lobby delle fonti fossili che a Glasgow era la delegazione più numerose, oltre 500 persone – aveva commentato prima della firma il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli – che frena la transizione ecologica verso una politica energetica rinnovabile e l’azzeramento delle emissioni da CO2, con una campagna negazionista sul clima che ha impiegato oltre un miliardo di dollari”. Nel frattempo, le compagnie petrolifere nel mondo hanno ricevuto nel 2020 sussidi pubblici per 5.900 miliardi di dollari, secondo il Fondo monetario internazionale “e questo spiega – aggiunge Bonelli – come oggi la politica globale, o parte di essa, sia debole per programmare lo stop dalla dipendenza delle fonti fossili”.

NESSUNA STRUTTURA PER PERDITE E DANNI – Anche Stati Uniti e Ue, alla fine, hanno puntato i piedi, bloccando la richiesta di 134 paesi che rappresentano l’85% della popolazione mondiale affinché fosse istituita una ‘Glasgow Facility on Loss and Damage’, un organismo di consegna formale per fornire sostegno finanziario a quei paesi che già stanno vivendo disastri climatici. Usa e Unione europea non hanno voluto essere ritenuti finanziariamente responsabili per le loro emissioni storiche, anche se l’accordo finale prevede un dialogo di due anni per discutere le modalità che potrebbero portare alla creazione di tale strumento. Rispetto all’adattamento “si spendono nel mondo 2mila miliardi di dollari all’anno in armamenti – continua Bonelli- ma non trovano 100 miliardi di dollari promessi ai paesi poveri negli anni passati”. I paesi sviluppati sono ora chiamati a raddoppiare proprio il loro sostegno all’adattamento (dai 20 miliardi all’anno di oggi ad almeno 40 miliardi), anche se non è stato trovato un accordo sull’obiettivo di finanziamento del clima dopo il 2025.

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