“Un collaudato meccanismo corruttivo, un preciso ‘giro’ di imprenditori e consulenti, trasformatosi nel tempo in un vero e proprio sistema, reso possibile anche per una scarsa se non addirittura inesistente vigilanza da parte di figure super apicali”. Così il gip di Bari Anna Perrelli ha descritto l’attività di corruzione e truffa ai danni dello Stato smantellata dall’operazione “Radici” che ha portato all’arresto di 6 persone di cui una in carcere e cinque ai domiciliari. L’inchiesta, condotta dai finanzieri agli ordini del colonnello Luca Cioffi e coordinati dal procuratore aggiunto Alessio Coccioli, ha portato alla luce un giro di tangenti legate all’erogazione dei fondi europei a disposizione delle imprese agricole.

Sono complessivamente 21 le persone indagate: a vario titolo le accuse sono di tentata concussione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica del pubblico ufficiale in atti pubblici, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. In carcere è finito Lorenzo Mazzini, 63enne funzionario della Regione Puglia in servizio al Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale con il compito di valutare le domande di partecipazione al bando regionale relativo al Programma di Sviluppo Rurale. Ai domiciliari, invece, sono stati costretti l’agronomo Antonio Simone e gli imprenditori Matteo Fasanella, Nunzio Nargiso, Nicola Biscotti e Francesco Nasuti. Indagato a piede libero anche Domenico Campanile, dirigente della Regione Puglia: nei suoi confronti l’accusa è di aver avuto notizie del coinvolgimento nel sistema illecito di due dipendenti della Regione a lui subordinati, ma invece di sporgere denuncia, avrebbe informato i due dell’esistenza di un’inchiesta.

Secondo l’accusa al “centro” del sistema operano i due funzionari della Regione: Mazzini e Giuseppe Vacca, ormai in pensione e per questo denunciato a piede libero. Mazzini avrebbe avuto un rapporto più diretto con imprenditori e consulenti: stando a quanto ricostruito dai finanzieri di Bari, Mazzini in sostanza contattava le imprese o l’agronomo che si occupava di istruire la richiesta di fondi per il sostegno all’agricoltura e in accordo con questi operava per migliorare la loro posizione in graduatoria oppure chiudeva un occhio rispetto a criticità che ne avrebbe determinato l’esclusione. L’iniziativa di Mazzini però si poteva realizzare solo dopo il via libera di Vacca “la cui firma – si legge negli atti dell’inchiesta – era indefettibile per il buon esito di ogni pratica”.

Nelle 328 pagine che compongo l’ordinanza di custodia cautelare, il gip Perrelli descrive lo schema in tre atti semplici: innanzitutto si raggiungeva l’intesa corruttiva tra pubblici ufficiali, imprenditori e agronomi poi venivano predisposti i documenti necessari per certificare sulla carta le condizioni per ottenere i fondi e così si induceva infine in errore l’Agea, Agenzia per l’erogazione dei fondi in agricoltura, a liquidare le somme. “Questo schema criminoso – scrive il magistrato – si ripeteva in (quasi) tutti i casi oggetto della indagine, consentendo di configurare, ogni volta una sorta di ‘trittico’ delittuoso corruzione-falso per induzione-truffa aggravata”.

E con questo sistema le imprese agricole vicine ai funzionari infedeli avrebbero ottenuto un fiume di denaro: per 26 istanze finite sotto la lente del pm sarebbero stati erogati ben 2 milioni e 700mila euro, generando un giro di mazzette di 110mila euro. L’attività di indagine è partita dalla denuncia a febbraio 2020 di un professionista, progettista nell’ambito forestale e agronomico, che svelò ai militari come a ottobre 2019, il funzionario della Regione Mazzini avesse chiesto denaro per la risoluzione di “problematiche” sulla consegna della documentazione oltre i termini previsti dal bando. Le intercettazioni, i pedinamenti, gli interrogatori hanno poi portato alla luce “un comitato d’affari – come lo spiega il gip Perrelli – composto da funzionari della Regione Puglia, imprenditori agricoli e consulenti agronomi di loro fiducia operanti in provincia di Foggia nel settore della silvicoltura, che aveva come obiettivo l’illecito conseguimento degli aiuti economici erogati dalla Comunità Europea, dallo Stato italiano e dalla Regione Puglia per gli interventi forestali inseriti nel Programma di Sviluppo Rurale”. Tra gli indagati, però, qualcuno ha poi deciso di collaborare con la magistratura. Come l’agronomo Antonio Simone che ha consegnato agli inquirenti la registrazione audio di un colloquio con Mazzini avvenuto nel 2018. Dice Mazzini: “Io ti offro l’assistenza”. E l’agronomo risponde: “Ventiquattro ore su ventiquattro”. Ancora il dirigente regionale: “Perché, ho visto come sei fatto, allora, se noi raggiungiamo un ‘intesa, non ci sta… nessu… non mi preoccupo più! Posso venire… ci siamo?”. Sempre Simone: “Ci siamo”. E Mazzini: “Oh! Va bene il 3%?”.

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