Nei giorni di caos successivi alla presa di Kabul da parte dei talebani molti afgani che avevano collaborato con gli occidentali si diressero in massa all’aeroporto Hamid Karzai. La loro speranza era di salire sugli ultimi voli in partenza verso l’occidente, o almeno di farci salire i loro figli. Molti ricordano l’immagine del viceconsole italiano Tommaso Claudi che prende in braccio proprio uno di questi bambini. Tra i genitori che sotto il muro divisorio dell’aeroporto affidavano i figli a degli sconosciuti c’erano anche Mirza Ali Ahmadi, di 35 anni, per un decennio guardia di sicurezza all’ambasciata americana di Kabul, con sua moglie Suraya, di 32, e i cinque figli, il più grande di 17 anni e il più piccolo, Sohail, di appena due mesi. In un’intervista esclusiva all’agenzia Reuters di domenica 7 novembre, i genitori hanno detto di aver affidato il più piccolo ai Marines. Avevano paura che venisse schiacciato contro il muro, convinti di rivederlo dopo poco, visto che il cancello distava solo 5 metri.

Ma ci è voluta mezz’ora prima che superassero la recinzione e di Sohail si sono perse le tracce. Così, aiutato dai colleghi afgani dell’ambasciata Usa ha parlato “con più di 20 persone” per tre giorni, racconta Mirza. “Ad ogni funzionario – militare o civile – in cui mi sono imbattuto, chiedevo del mio bambino“, ma senza risultato. “Gli operatori umanitari e i funzionari americani mi dicono che faranno del loro meglio per ritrovarlo”. Mirza è stato aiutato nelle ricerche da un comandante americano, ma hanno dovuto interrompere tutto perché bisognava evacuare l’aeroporto. Così sono partiti per il Qatar per poi essere trasferiti in Germania e infine in America.

“Non faccio altro che pensare a mio figlio“, dice da Fort Bliss, in Texas, dove è con la famiglia e altri rifugiati afgani in attesa di essere reinsediati negli Usa. “Tutti quelli che mi chiamano, mia madre, mio padre, mia sorella, tutti mi danno conforto e mi dicono: ‘Non preoccuparti, Dio è buono, tuo figlio sarà ritrovato'”, dice la madre Suraya.

I due afgani hanno raccontato di aver diffuso le foto del figlio sui social e in strada, attraverso l’Afghan Refugee Relief, un gruppo di sostegno alle famiglie afghane che ha lanciato una campagna dal titolo ‘Bimbo scomparso‘ (Missing baby). Un funzionario statunitense assicura di aver segnalato a tutte le agenzie coinvolte, comprese le basi statunitensi e le località estere mentre un portavoce del Dipartimento di stato ha affermato che il governo sta lavorando con vari partner e la comunità internazionale “per esplorare ogni strada e localizzare il bambino, incluso un appello emesso attraverso il centro internazionale per i bambini scomparsi”.

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