Cosa aspettarci dal Cop26 che si sta tenendo in Scozia? Semplice: o saranno le società civili dell’intero pianeta a coalizzarsi dal basso o i buoni propositi rimarranno intrappolati nelle sabbie mobili di interessi geopolitici, di corporativismi criminali magari propagati attraverso “pubbliche relazioni” sempre più scaltre nell’uso della “peste del linguaggio” di calviniana memoria.

Per questo a Glasgow il cerino ce l’hanno in mano non Stati e potenti che sappiamo che faranno finta di ascoltare salvo, ognuno, difendere i propri interessi più o meno sporchi. La sfida è nel nostro campo, in quello ecologista: sapremo dar vita ad una Alleanza Globale Planetaria dei movimenti, degli attivisti, delle società civili che non deleghi le “scelte giuste” a coloro che continuano a ballare mentre il Titanic sta affondando? Ora più che mai un comune manifesto per la Rivoluzione Ecologica è irrinunciabile. Esso deve dare la rotta alla transizione ecologica acquistando sempre più rilevanza politica, culturale, scientifica.

Se continueremo a protestare delegando a coloro che coerentemente continuano a perorare il “come è sempre andato” anche i movimenti dal basso saranno indirettamente responsabili dell’inazione e del bla bla bla! Non basta “esser contro”, tirarsi fuori a parole, se non si costruisce una nuova governance centrata sulla difesa della natura (nemmeno dell’ambiente; termine che rischia di apparire, oggi, ambiguo) a partire dai livelli locali ma che aspiri a divenire Alleanza Planetaria: il rischio sarà quello di concepire movimenti “consolatori” e impotenti.

La base di questo Manifesto parte dalla constatazione senza se e senza ma che le società umane organizzate intorno al modello economico di appropriazione della natura definito lineare (estrazione, manifattura, consumo, smaltimento per poi ripartire dall’estrazioni in un vortice irriducibile e masochisticamente aggressivo verso i cicli naturali) costituiscono un problema grave per il pianeta. Hegelianamente parlando, la contraddizione principale che viviamo in questa fase storica non è tra le classi sociali (anche se i conflitti per la giustizia sociale continuano ad acuirsi) ma è tra uomo e natura. L’abbiamo visto al tempo del lockdown: quando gli esseri umani sono fuori gioco la natura riprende a respirare.

I numeri delle valutazioni ambientali ce lo hanno detto in modo, forse sgradevole, ma chiaro e forte. Tra modello lineare di produzione, tra stili di vita che scambiano il benessere con lo spreco e l’usa e getta gli oceani stanno divenendo una discarica, le risorse sempre più scarse, l’atmosfera sempre più inquinata e “infuocata”, ma si continua a far finta di essere consapevoli di tutto ciò. Mentre in Italia per esempio gran parte del dibattito è assorbito da green pass vs no green pass e dove le classi dirigenti (che hanno in mano interamente, dopo la “normalizzazione” del Movimento 5 stelle, un coro mediatico sempre più improntato da un “pensiero unico”) sono protese a tentare di accaparrarsi il banchetto dei fondi Ue del Pnrr non per difendere l’ambiente ma per autostrade, impianti di industria sporca e grandi opere in genere anche in contraddizione con gli stessi criteri fissati dall’Europa.

Se qualcuno ritenesse esagerata questa descrizione dovrebbe chiedersi perché al Ministero della Transizione Ecologica non ci sia una figura ambientalista o almeno uno scienziato, ma un signore che vuole il ritorno al nucleare!

Eppure non tutto è perduto, anzi! I recenti dati Nomisma affermano che l’Italia è il primo Paese in Europa per il ricorso all’Economia Circolare battendo addirittura la Germania, mentre dal “basso” sono ormai oltre sette milioni e mezzo i cittadini coinvolti dai circa 330 comuni che hanno scelto il percorso Rifiuti Zero. Occorre far leva su questi successi, occorre puntare su una nuova “stagione illuminista” dal basso – la cosiddetta “Citizen Science” – per rendere sempre più evidente che il cambiamento climatico si può fermare solo cambiando in meglio la nostra società. Attivisti di tutti i Paesi unitevi!

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