Un ritorno al nucleare da valutare di Paese in Paese, ma “da escludere” in Italia a causa della densità di popolazione, perché “se Chernobyl fosse stata in Val Padana” avrebbe “provocato milioni di morti”. E le “emissioni zero” a metà di questo secolo che sono destinate a rimanere “un’illusione” senza un piano. Parola del premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi. In un’intervista al Corriere della Sera, lo studioso dei sistemi complessi entra in uno dei temi più dibattuti delle ultime settimane, tornato al centro della scena durante la Cop26 a Glasgow: la necessità, secondo alcuni Paesi, di valutare nuovi investimenti sul nucleare durante il periodo della transizione energetica.

“Sulla questione bisogna guardare al rapporto danni-benefici e tutto dipende dal Paese. Se Chernobyl fosse stata in Val Padana, con una popolazione molto superiore a quella zona dell’allora Urss, avrebbe provocato milioni di morti. In ogni caso è da escludere in Paesi come l’Italia densamente abitati”, risponde Parisi intervenendo in un dibattito che in queste settimane ha visto assumere posizioni “pro” al ministro Roberto Cingolani. “Per la quarta generazione degli impianti nucleari a fissione di cui si parla perché più sicuri, adesso esistono solo prototipi – avverte il premio Nobel – che devono dimostrare la loro qualità; tuttavia sono sempre da escludere dove vive la gente. È diverso se i cinesi vogliono realizzarle in zone remote”.

Parisi non nutre grandi speranze anche per quanto riguarda il raggiungimento della neutralità energetica attorno al 2050, obiettivo che i leader del G20 hanno messo nero su bianco al termine del vertice a Roma: “Senza un piano preciso è un’illusione. Quando al Cern decidono di costruire un nuovo acceleratore da accendere vent’anni dopo si comincia a stabilire di anno in anno che cosa disporre. È così che si deve agire. Per i trasporti se facciamo ricorso ai biocarburanti bisogna organizzarsi per produrli, altrimenti camion, navi e aerei continueranno a utilizzare risorse fossili”.

E l’Italia non sembra fare grandi in avanti, anche a livello di mentalità, per affrontare il surriscaldamento climatico: “Ho l’impressione – dice Parisi al Corriere – che le cose non siano ben capite e ritenute necessarie. Non vedo la gente che installa pannelli solari sui tetti. A Roma se facciamo una ricognizione, sui tetti vediamo più piscine che celle solari”. Sarebbe necessario, infatti, spiega Parisi, anche intervenire sulla “sulle abitudini” delle popolazioni: “Quando vado ad Hong Kong devo girare con il maglione di lana in metropolitana o in hotel per proteggermi dal freddo pure d’estate… Sono questi sprechi che bisogna eliminare. Comunque, prima di tutto serve la lista precisa degli interventi da attuare”. Una spinta, suggerisce, dovrebbe arrivare dalle amministrazioni, almeno in chiave burocratica: “È evidente che le amministrazioni comunali dovrebbero predisporre regole e sollecitare i condomini per attuare degli interventi, magari offrendo assistenza ai progetti senza onere alcuno”.

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