A Glasgow è stato servito l’ennesimo annuncio: fino a 130 trilioni di dollari di capitali privati per raggiungere gli obiettivi di emissioni nette zero entro il 2050, attraverso la grande famiglia della Glasgow Financial Alliance for Net Zero presieduta dall’ex governatore della Banca centrale inglese Mark Carney. Diverse ong mostrano scetticismo, mentre Ben Caldecott, direttore dell’Oxford Sustainable Finance Group ha sottolineato: “Dobbiamo concentrarci risolutamente sulla qualità delle promesse fatte dalle istituzioni finanziarie, non solo la loro quantità”. Funziona che istituti di credito, fondi, assicurazioni e fornitori di servizi finanziari possono aderire alla Glasgow Financial Alliance for Net Zero, battezzata ad aprile 2021, associandosi alle varie ‘alleanze net-zero’ create nell’ambito dei diversi settori finanziari e che oggi fanno parte della ‘famiglia’. Come spiegato alla Cop26, gli aderenti si impegnano ad adottare linee guida per raggiungere zero emissioni nette di carbonio alla metà del 2050 e a fornire obiettivi intermedi al 2030. Ma gli ultimi dati, mostrano che la qualità non è sempre così alta.

NELLA ‘GRANDE FAMIGLIA’ – Ad oggi hanno aderito in 450: ci sono anche Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrate in GFANZ (insieme alla più piccola Banca Ifis) appena una decina di giorni prima che iniziasse la Cop26 di Glasgow attraverso il loro ingresso in ‘Net zero banking alliance’. E ne fa parte anche Generali, entrata prima nella Net-Zero Asset Owner Alliance (a gennaio 2020) e, in seconda battuta (a luglio 2021) nella Net-Zero Insurance Alliance. Proprio oggi Urgewald, ReCommon, Greenpeace e altre 18 organizzazioni della società civile pubblicano il Global Oil & Gas Exit List (GOGEL), database sulle attività di 887 società petrolifere e del gas, che rappresentano più del 95% della produzione globale di idrocarburi. “In base agli ultimi dati analizzati, Eni si colloca nella top 20 dei produttori globali di petrolio e gas e, attraverso la sua controllata Vår Energi, nella top 10 delle società che sfruttano le risorse della Regione artica, soprattutto con le piattaforme petrolifere nel Mare di Barents” spiega Luca Iacoboni, responsabile Energia e Clima di Greenpeace Italia.

LE BANCHE ITALIANE INVESTONO IN GAS E PETROLIO – Ma si scopre anche che San Paolo, nel solo 2020, ha investito in sei delle otto società dei combustibili fossili che figurano nelle tre principali classifiche di GOGEL. Ovvero la top venti dei produttori di idrocarburi, la top venti delle società che hanno intenzione di espandere il proprio business e la top venti di quelle che hanno speso più soldi nella ricerca di nuovi idrocarburi. “ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Chevron ed Equinor hanno beneficiato di investimenti pari a 604 milioni di euro da parte di Intesa Sanpaolo” commenta Simone Ogno di ReCommon. Mentre sul fronte strettamente italiano nel solo 2020 la principale banca italiana ha concesso prestiti a ENI per 866 milioni di euro e investimenti pari a 183 milioni di euro. “Gli unici aspetti positivi di questo aggiornamento riguardano il carbone – Continua Ogno – visto che è in programma la chiusura definitiva entro il 2025 delle relazioni di San Paolo con le società operanti nel settore dell’estrazione. A questo si aggiunge inoltre lo stop di ogni finanziamento a quelle società che prevedono di espandere il proprio business attraverso nuova capacità installata o con la realizzazione di nuove centrali termiche a carbone”. Per quanto riguarda Unicredit, invece, come già sottolineato da Greenpeace e ReCommon “nonostante una posizione sul settore del carbone riconosciuta come tra le più avanzate a livello internazionale, per quanto non esente da scappatoie” gli impegni relativi al comparto oil&gas, presi a novembre 2019, sono ancora molto deboli. Tra il 2016, anno di entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima e il 2020, UniCredit ha concesso 5 miliardi di euro alle principali società impegnate nell’esplorazione e nella produzione di petrolio e gas proveniente da nuovi giacimenti. A beneficiarne soprattutto Eni, Total e Repsol.

I DUBBI DI RECLAIM FINANCE – “La recente partecipazione di Intesa alla Net-Zero Banking Alliance, parte della più ampia coalizione Glasgow Financial Alliance for Net-Zero – presentata proprio ieri alla COP26 dall’inviato speciale dell’ONU per finanza e clima Marcus Carney – rischia di risultare l’ennesima operazione di greenwashing del gruppo bancario, nonché di mostrare in maniera evidente i limiti di queste piattaforme finanziarie, con obiettivi opachi e nessun impegno vincolante per il clima” commentano le due organizzazioni. Già prima dell’annuncio, la Ong francese Reclaim Finance aveva messo in discussione la strategia di Carney in uno studio, dal quale è emerso che su sei ‘alleanze net-zero’ analizzate, nessuna imponeva uno stop agli investimenti nei combustibili fossili, il limite tracciato dall’Agenzia internazionale dell’energia per rimanere sotto 1,5°C. D’altronde, proprio la tradizionalmente conservatrice (e vicina all’industria fossile) IEA, a maggio scorso, ha denunciato il trend della finanza privata. La Glasgow Financial Alliance for Net Zero ha fatto sapere di aver preso nuovi impegni, per esempio per adottare procedure di rimozione di membri che non seguono gli stessi obiettivi e accelerare l’eliminazione graduale degli investimenti dei combustibili fossili. Ma, dopo l’annuncio, la direttrice esecutiva di Reclaim Finance, Lucie Pinson, ha definito gli impegni annunciati di recente come “aria fritta”, invitando l’industria a mettere in atto “tagli concreti al finanziamento di petrolio, gas e carbone di cui abbiamo davvero bisogno”.

IL DISINVESTIMENTO DI GENERALI, MA TROPPO LENTO SUL CARBONE – Ma nella Glasgow Financial Alliance for Net-Zero ci sono anche le assicurazioni ma, stando alle ultime analisi, quelle che aderiscono sembrano in effetti le più virtuose, anche se con diversi limiti. In queste ore è stata pubblicata la quinta edizione del rapporto ‘Insuring Our Future: The 2021 Scorecard on Insurance, Fossil Fuels and Climate Change’, promosso dalla campagna Insure Our Future di cui fanno parte anche ReCommon e Greenpeace, che classifica le 30 principali compagnie assicurative a livello mondiale valutando le loro policy in tema di sottoscrizione e investimenti in combustibili fossili. Dall’analisi emerge che il disinvestimento quasi definitivo dal carbone è guidato dal comparto europeo. Dal 2017, ben 33 compagnie assicurative hanno ritirato il proprio supporto al combustibile fossile più impattante sul clima. Di queste, dieci si sono aggiunte nell’ultimo anno. Al contempo, però, è preoccupante che le compagnie di assicurazione continuino a finanziare l’espansione di petrolio e gas. Tra quelle analizzate nel rapporto c’è l’italiana Assicurazioni Generali che, pur posizionandosi all’ottavo posto in classifica (dove le prime sono le più virtuose), insieme all’australiana Suncorp e alla francese Axa si distingue dalle altre compagnie assicurative per gli impegni di disinvestimento assunti rispetto a nuovi progetti di produzione di petrolio e gas. Un passo positivo, parzialmente controbilanciato dalle politiche sul carbone del Leone di Trieste, considerate dal report ancora lacunose rispetto alle scelte, legate a tutti i combustibili fossili, di concorrenti europei e internazionali come Allianz e Axa.

Articolo Precedente

Transizione energetica, per gli imprenditori dell’acciaio va bene così. Il presidente Bernabè: “G20 e Cop26? Impegni seri e non ‘bla bla bla”

next
Articolo Successivo

Cop26, l’Italia cambia idea all’ultimo minuto e firma lo stop ai finanziamenti ai paesi che investono in combustibili fossili

next