Qui la prima puntata sulla riforma della sanità lombarda

Gli articoli 5, 6 e 7 definiscono compiti e rapporti tra regione, Ats e Asst. “Tra le specificità non rinvenibili negli altri ordinamenti regionali vi è la completa separazione delle funzioni di programmazione, accreditamento, acquisto e controllo in capo ad Ats, da quelle di erogazione delle prestazioni, assegnate ad Asst, a loro volta costituite da due poli ospedaliero e territorio”, rileva Agenas.

La mia valutazione è che sia ancor peggio di così: il ruolo dell’assessorato alla sanità si limita all’indirizzo politico, e la direzione generale welfare (oggi incredibilmente sotto staff) gestisce la programmazione generale: sono ruoli insufficienti per essere testa e motore pensante propulsivo, con una visione complessiva. Così sono quasi enti inutili che delegano i loro compiti alle (ahimè plurale) Ats.

L’accreditamento è una leva fondamentale del governo, molto mal collocato, volutamente: chi discute con l’amministratore delegato di una grande azienda privata di quali reparti e di quanti letti? Una persona con spalle almeno larghe come le sue e che abbia in testa l’equilibrio di bisogni regionale: l’assessore con i suoi membri di fiducia della direzione generale, direi io. Non certo (con tutto il rispetto) il direttore di una Ats che è responsabile di conoscere i bisogni solo del suo territorio. Troppo alto il rischio che il privato possa fare ciò che vuole (legittimamente se è permesso; la colpa è di chi lo permette) e poi andare da Ats a contrattare i soldi che Regione verserà.

Inoltre la contrattazione verso pubblico e privato deve essere trasparente e a partire dai volumi di prestazioni erogate patologia per patologia (che devono essere indicati da Regione a seconda dei bisogni di salute della popolazione), non definire soltanto tetti di spesa, cioè pacchetti di soldi (se non sfori il tetto, più o meno puoi fare ciò che vuoi). La frammentazione dell’impianto di governance porta a uno sfilacciamento della catena del comando e a una risposta non coordinata, da parte degli erogatori del sistema, ai bisogni di salute della popolazione.

Una Ats unica o al massimo due. Ne restano otto, un casotto.

Non serve il parere di Agenas e neppure studiare l’eccellente relazione del prof. Remuzzi, uno dei saggi nominati da Fontana per rivedere la legge, per comprendere ciò che tutti i lombardi hanno capito durante il Covid: le Ats così come impostate sono enti inutili, scatole vuote, la cui colpa principale è essere otto. Ognuna fa a modo suo. Ognuna deve comunicare con regione, con le altre Ats, con le sue Asst, con il privato, con i suoi Ircss, con l’agenzia di controllo, etc. Al massimo è un ente comunicatore. E spesso comunica male, in ritardo o non comunica affatto.

L’esempio più significativo è nelle rendicontazioni e trasferimenti di denaro tra Ats e Ats, un vero delirio burocratico interno quando, come capita spessissimo, una persona di una Ats riceve una prestazione sanitaria presso un ente erogatore di un’altra Ats. Girano vorticosamente enormi quantità di soldi che nessun assessore al bilancio riuscirebbe a rendicontare. Con il Covid le Ats hanno dimostrato di non saper fare – un esempio su tutti, il tracciamento; di non saper coordinare – ad esempio il rapporto tra genitori, pediatri e scuola per la gestione di Covid e quarantene è funzionato bene quasi solo se Ats veniva bypassata e gli altri attori si organizzavano da sé.

Otto Ats sono disorientanti per il cittadino, a sua insaputa. Ogni volta che vi capita di andare ad uno sportello per qualsiasi cosa e sentirvi dire che “si fa in maniera differente da come sapevate voi”, ciò dipende dal fatto che ogni Ats è completamente autonoma e abbiamo otto sistemi sanitari regionali in Lombardia. Non esistono steccati, né dogane che segnino il confine tra una Ats e l’altra: il cittadino si sente stupido, ma capire è impossibile. Al limite, data la complessità di Milano, due Ats potrebbero aver senso, una dedicata alla città metropolitana e una grande forte, rimpolpata di professionalità e con chiari compiti per il resto di Regione. La politica, occupandosi di territorio in maniera territoriale, non può dire che sia necessario ridurre le Ats e farne una o due grandi, efficienti, potenti, ben connesse e con ruoli chiari. I nodi devono diventare connessioni.

Agenas: “La dispersione dell’attività di controllo (in capo alle otto Ats) e l’assenza di un forte presidio centrale di controllo (nonostante l’Agenzia di Controllo regionale) comportano l’emergere di disomogeneità della qualità dell’offerta sul territorio”. L’Agenzia del Ministero della Salute propone alla sorda e autoreferenziale Lombardia una armonizzazione: “migliorare l’integrazione tra gli attori del sistema e a ridefinire con chiarezza i ruoli e le competenze attraverso una revisione dell’impianto istituzionale, caratterizzata principalmente dalla costituzione di un’unica Ats, a sostituzione delle otto attuali”.

Le Ats sono enti inutili che si frappongono tra le regioni e le Asst. Le ventisette Asst, cioè dove tutto avviene. Le Asst insieme al privato offrono ai cittadini i servizi sanitari. Si articolano in due settori: polo ospedale e polo territorio. Questo è il più grave errore del Governo Maroni in Lombardia, che ha contribuito alla desertificazione della medicina di territorio. L’unico modo in cui ospedale e territorio abbiano pari dignità, essendo ugualmente importanti ma uno ben più costoso dell’altro, sarebbe quello di fare un muro in cartongesso e separare i due uffici, far sedere in ognuno un direttore generale; meglio ancora due uffici diversi in due palazzi diversi con due nomi diversi. Agenzia della medicina ospedaliera e agenzia della medicina di territorio (ridateci le Asl!). Ogni direttore avrebbe il suo telefono per parlare alla Ats unica, che coordina lavoro delle agenzie di ospedale e di territorio dando regole e input univoci.

Le audizioni Agenas (qualcuno in Lombardia ha seguito?), su questo, suggeriscono di istituzionalizzare una distinzione tra polo ospedaliero e polo territoriale in termini di budget e personale assegnato.

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