Una relazione sentimentale da ostacolare a ogni costo. Anche attraverso un omicidio. È questo secondo la procura di Lecce il movente dell’omicidio di Silvano Nestola, maresciallo dei carabinieri in pensione freddato da quattro fucilate la sera del 3 maggio a Copertino. Un’esecuzione plateale e brutale avvenuta dinanzi agli occhi del figlio di 11 anni, a cui Nestola ha dedicato gli ultimi istanti della sua vita: alla vista dell’uomo e forse dopo aver ricevuto il primo colpo, Nestola ha infatti urlato al ragazzino di correre via e cercare riparo a casa della zia, dove avevano trascorso la serata. Il racconto, terribile e doloroso, del ragazzino è stata la prima traccia sulla quale i carabinieri del Reparto Operativo di Lecce, guidati dal tenente colonnello Pasquale Montemurro, con i colleghi del Ros hanno lavorato per risalire al killer.

“C’era una persona nera che stava accovacciato sotto al muretto sulla destra che si è alzato e ha sparato” ha spiegato il figlio della vittima. Quell’uomo “nero”, questa mattina, è finito in carcere: si tratta di Michele Aportone, 70enne di San Donaci, comune del Brindisino. È il padre della donna con cui il carabiniere aveva intessuto una relazione sentimentale nell’estate 2020. Le indagini, infatti, si sono da subito concentrate sulla vita privata del militare e secondo i pubblici ministeri di Lecce, Alberto Santacatterina e Paola Guglielmi, il delitto è maturato a causa dei “sentimenti di rancore, odio e rabbia” nei confronti di Nestola. Sentimenti che non appartenevano solo ad Aportone, ma anche a sua moglie Rossella Manieri. Le indagini, infatti, hanno documentato diversi episodi nei quali proprio la Mainieri aveva agito per impedire che la figlia continuasse a vedere il militare. In uno di questi, il 20 aprile scorso, la donna aveva addirittura affrontato l’ex maresciallo proprio sotto la sua abitazione. Gli investigatori, infatti, hanno ritrovato un file audio sul telefono della vittima nel quale era contenuto un violento litigio con l’anziana donna e durante la quale, quest’ultima, oltre a ribadire la sua volontà che i due troncassero ogni contatto, accusava il militare dicendogli “hai rovinato la famiglia mia, tu hai distrutto mia figlia, la famiglia tua, la famiglia mia e la famiglia della suocera”.

Le indagini, però, hanno dimostrato che in realtà era proprio la donna ad aver liberamente scelto di costruire una storia con Nestola. Non solo. La follia dei genitori, però, oltre a concretizzarsi in quella che il gip Sergio Mario Tosi definisce una “assillante persecuzione” nei confronti di Silvano Nestola, si era manifestata con l’acquisto di un sistema Gps che i due anziani avevano fatto installare nell’auto della 35enne per controllare costantemente la sua posizione e intervenire qualora avessero il sospetto che fosse in compagnia del nuovo compagno. Dal 27 marzo al 2 maggio, giorno dell’omicidio, sono stati registrati ben 1357 contatti tra i telefoni dei due coniugi e il sistema satellitare. In alcuni periodi di tempo, inoltre, “la posizione dell’autovettura utilizzata dalla figlia risulta essere stata controllata 571 volte dall’utenza in uso alla madre (più di sedici volte al giorno, una volta ogni ora e mezza) e 134 dall’utenza in uso al padre (quasi quattro volte al giorno)”. Un controllo maniacale che ha poi spinto l’uomo a organizzare nei dettagli il delitto: un proposito che, come scrive il gip Tosi, era “talmente determinato da non arretrare neppure dinanzi alla presenza del figlio undicenne che, in un estremo gesto di protezione, era stato dal padre spinto a trovare rifugio all’interno dell’abitazione”.

Ma non solo. Nei giorni successivi all’omicidio, il 70enne si è adoperato per distruggere le prove che potessero indicarlo come responsabile dell’agguato. Tra i diversi episodi ricostruiti dai carabinieri c’è la distruzione dello scooter con il quale avrebbe dato vita alla spedizione punitiva. Lo avrebbe fatto a pezzi e bruciato e poi buttato i resti in tre diversi punti del Salento ionico in cui viveva. Ma a quel punto gli occhi e le orecchie dei carabinieri erano già su di lui: lo hanno seguito e hanno recuperato i pezzi dello scooter e accertato che era dello stesso modello utilizzato dall’assassino e immortalato da alcune telecamere di video sorveglianza attive nella serata del delitto. Non solo. Grazie alla microspia piazzata nell’auto dell’uomo, i militari hanno raccolto una frase dialettale: “Scientificame stu cazzu” aveva detto durante uno di quei viaggi, alludendo in tono quasi di sfida verso gli investigatori a utilizzare prove scientifiche per incastrarlo. “L’indagato – scrive il gip Tosi nell’ordinanza di custodi cautelare – distruggendo il ciclomotore del quale si era avvalso per recarsi sul luogo di esecuzione dell’uccisione di Silvano Nestola, riteneva di avere impedito ulteriori accertamenti di tipo scientifico che potessero collegarlo al mezzo di cui si discute e, quindi, al delitto. La distruzione – ha aggiunto il magistrato – del ciclomotore, accompagnata dal commento che si è riferito, può a buon diritto essere considerata una vera e propria confessione dell’omicidio di Silvano Nestola”.

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