di Laura Quarà*

In tutti gli ambiti del sapere e della professione dobbiamo procedere spesso a valutazioni, a giudizi di fatti o persone; in questi processi riteniamo di essere abbastanza indipendenti da condizionamenti esterni, convinti di applicare criteri di massima oggettivi. Di fatto cadiamo il più delle volte in trappole cognitive, emotive e psicologiche poiché ben difficilmente siamo consapevoli di diversi vizi di ragionamento, di bias (errori sistematici) alimentati da pregiudizi, credenze, condizionamenti sociali, sovraffollamento di informazioni provenienti da fonti diverse, confuse ed incontrollate (rumore) che ci conducono, anche inconsapevolmente, ad un’estrema variabilità di giudizio.

Spesso procediamo con sistemi di giudizio istintivi, rapidi, attraverso i quali saltiamo alle conclusioni senza avere attivato dei sistemi di controllo delle informazioni che ci hanno condotto ad emettere un giudizio piuttosto che un altro.

Nell’edizione 2021 del Festivaletteratura di Mantova (8-12 settembre) il premio Nobel per l’Economia per lo studio sui processi decisionali Daniel Kahneman, professore di Psicologia a Princeton, ha presentato il libro Rumore, un difetto del ragionamento umano (Kanhneman, Sibony e Sustein – Utet ed. 2021), che tratta in modo articolato dei meccanismi, sottesi ai processi, che portano alla diversificazione del giudizio e all’errore in molteplici campi di applicazione (forense, assicurativo, clinico, psichiatrico, risorse umane), con conseguenze anche rilevanti sulle persone e sulle economie.

Non sono i fatti di per sé a sconvolgere, ma l’entità del disaccordo interno tra esperti di una medesima disciplina (tra i 63% e il 92% delle volte). Prendendo ad esempio spunto dalla pandemia Covid-19, l’autore così afferma: “Il rumore esisteva anche all’interno della comunità scientifica dove sono state date interpretazioni diverse degli stessi fatti. L’informazione che ne scaturiva risultava spesso incoerente, quindi infondata. Il rumore a cui i cittadini sono stati esposti è stato uno dei maggiori problemi della pandemia, perché ha reso difficile fidarsi”.

Premesso che “nei sistemi rumorosi gli errori non si compensano ma si sommano”, è urgente provare a ridimensionare o eliminare il rumore.

In proposito gli autori si riferiscono a un processo che definiscono “igiene decisionale”, definita una buona pratica, come lavarsi le mani. Esso comporta la destrutturazione di certe convinzioni e abitudini che creano situazioni mentali di “comfort” attraverso un maggior utilizzo, a seconda dei diversi campi di applicazione, del pensiero statistico, degli algoritmi/IA, arrivando anche al ripensamento della procedura da seguire rispetto a quella usualmente adottata. Ad esempio, nella selezione del personale occorrerà sezionare questo processo in diverse parti valutando singolarmente diversi aspetti (il candidato dovrà essere valutato con colloqui, separati e mirati, rispetto alle diverse attività che dovrebbe andare a svolgere: puntualità, originalità, leadership). Valutare cioè i singoli pezzi per poi “riaggregare la persona intera lasciando filtrare anche un minimo di intuito”.

Il “rumore” del titolo del libro è l’errore nei giudizi dovuto alla loro variabilità, al fatto che nessuno pensa in modo identico ad un altro. Il rumore si dimostra un problema serio soprattutto negli ambiti in cui ci aspetterebbe il livello massimo di oggettività, dove ci è richiesto di fidarci del giudizio e dell’esperienza di qualcuno, come la legge o la medicina, in cui – mai come in questo momento – il rumore è altissimo. Buona lettura!

* Psicologa del Lavoro, esperta di Mobbing, Straining e Stress Lavoro Correlato.

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