Dov’è indicata la linea sottile tra una diversa abilità di una persona e una diversa abilità di chi ha contribuito a costruire un mondo non fruibile e non per tutti? Se è possibile eseguire una scala o una rampa e si scelgono le scale, chi è che manca di abilità: chi non ha scelta se non quella di usare una sedia a rotelle per spostarsi o chi non ha realizzato la rampa ma ha optato per la scala? Allo stesso modo, se in una scuola l’alunno disabile deve combattere per andare semplicemente in bagno io mi chiedo: dove si colloca esattamente la linea sottile delle competenze che si disegna tra il paradosso e il ridicolo di ausili mancanti, fondi inadeguati, personale formato (ma anche no) e disponibile (ma anche no)?

Abbiamo cambiato casa da pochi mesi, abbiamo lasciato il palazzo: e l’ascensore, e le scale strette, e il balcone piccolo, e lo smog ad altezza sedia, e le buche, e i cosiddetti parcheggi alla romana, e i cosiddetti servizi che sono disservizi, e tutte le ingiustizie quotidiane. Siamo ora fuori dal centro cittadino, a piano terra, senza smog e senza quel tipo di servizio. Ma abbiamo servizi migliori, più personalizzati, più a misura delle nostre reali esigenze. Non abbiamo il bar sotto casa ma abbiamo dei vicini con i quali dialogare a fine giornata. È stata una scelta ponderata per anni e che certamente non avrei potuto perseguire con figli piccoli o durate il periodo in cui sono stata una mamma sola con tre bambine di cui una disabile gravissima.

Eppure, si spendono risorse a iosa per fornire assistenza, pulmini, ore e ore che non coprono mai perché i buchi permangono con un gusto quasi sadico. Fondi pubblici spesi per offrire un servizio al buio che raramente riesce a fare centro sulla necessità ampia di un progetto di vita della singola, ma intera, famiglia. Spese ingenti che comprimono il diritto di una mamma o di un papà caregiver, che necessariamente devono scegliere tra attività lavorativa, emotiva e di relazione, e la cura di un figlio che richiede un ruolo che si mischia e si confonde – alla faccia dei percorsi di autonomia, di vita indipendente e dei titoli da grande emancipazione che non ci sono.

In un momento storico in cui ottimizzare risorse è più che mai fondamentale, è davvero triste osservare il fallimento del progetto di vita indipendente che amalgama tutte le disabilità sotto la sola pecetta del richiamo a una norma che certamente non può considerare la reale esigenza attuale di numerose e naturali diverse esigenze.

All’interno della disabilità gravissima, della pluri-disabilità e in ogni ambito della vita formativa, partendo dalla scuola e passando per la riabilitazione e lo sport, troviamo ancora troppe scale. E la sedia a rotelle rimane giù.

Siamo felici di aver trovato la nostra soluzione e siamo felici per chi ogni giorno individua la propria miglior soluzione. Ma il mio pensiero va ai figli dopo di noi, va alle persone sole, a chi non riesce da solo ad organizzare la propria scelta migliore e rimane paralizzato e incastrato una seconda volta dai cosiddetti normodotati, che decidono – anche se quasi mai scientemente – della loro esistenza. Ho provato momenti di grandissima frustrazione. Ho immaginato mia figlia, dopo di noi, in una struttura preorganizzata su categorie di esigenze e legata a codici identificativi. Ho provato a conoscere le realtà del dopo di noi e non mi sono piaciute, neanche un po’.

Le disabilità amministrate, le disabilità complesse e le disabilità gravi devono ottenere una maggiore e reale considerazione. È necessario dare voce a chi sa di cosa si parla e vive nella realtà quei mille colori della diversa abilità. O ci sarà sempre un gradino di troppo, un rumore troppo forte, uno stimolo troppo colorato o troppo sbiadito. Ci sarà sempre un troppo che si tradurrà in un troppo poco per chi ha diritto di condurre un’esistenza libera. A mio avviso, la diversa abilità non esiste: la disabilità stessa è un concetto che racchiude tante diversità amalgamandole in un contenuto che vuole offrire diritti fondamentali, ma che troppo spesso toglie il più importante: la libertà di scegliere e di autodeterminarsi.

La soluzione non è vivere dentro o fuori la città, la soluzione è Vivere.

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