Dieci giorni di attesa, dieci giorni durante i quali da parte di avversari politici, associazioni antifasciste e parte dell’opinione pubblica è arrivata forte la richiesta a Giorgia Meloni di rinnegare pubblicamente e senza giri di parole il fascismo. L’accusa nei confronti della leader di Fratelli d’Italia era quella di non prendere posizioni nette, neppure dopo l’inchiesta Lobby Nera di Fanpage che ha dimostrato legami tra esponenti della formazione e importanti rappresentanti di organizzazioni neofasciste italiane, per non perdere parte di quell’elettorato considerato vicino a FdI e, allo stesso tempo, al fascismo. Oggi, però, in un’intervista al Corriere della Sera, Meloni ha scelto di cambiare rotta e di dichiarare pubblicamente che nel partito “non c’è posto per nostalgie fasciste, razziste, antisemite”.

“Nel nostro dna – ha dichiarato la co-fondatrice di FdI – c’è il rifiuto per ogni regime, passato, presente e futuro. E non c’è niente nella mia vita, come nella storia della destra che rappresento, di cui mi debba vergognare o per cui debba chiedere scusa. Tantomeno a chi i conti con il proprio passato, a differenza di noi, non li ha mai fatti e non ha la dignità per darmi lezioni”.

Il riferimento è a chi, partendo dalle immagini contenute nell’inchiesta di Fanpage, ha attaccato il partito e la sua leadership, dichiarando che al suo interno sopravvivono frange estremiste e nostalgiche. Quella sinistra che, sostiene, “non è riuscita ancora a fare i conti con il suo passato”. “Il ‘pericolo nero’, guarda caso, arriva sempre in prossimità di una campagna elettorale“, sostiene spostando subito l’attenzione sull’avversario politico e riproponendo la tesi delle inchieste a orologeria. Quando le viene fatto notare che usare la tesi del “complotto” per spiegare le rivelazioni degli scorsi giorni vuol dire aggirare il problema, la leader FdI risponde: “Quella più arrabbiata sono io. Io che ho sempre detto ‘nessuno si azzardi a giocare su certe cose’, che ho allontanato soggetti ambigui, chiesto ai miei dirigenti la massima severità su ogni rappresentazione folkloristica e imbecille, anche con circolari ad hoc. Perché i nostalgici del fascismo non ci servono, sono solo utili idioti della sinistra che li usa per mobilitare il proprio elettorato. Perché mentre noi marginalizziamo questa gente la sinistra la valorizza dandole un peso che non ha mai avuto? “. E assicura che “immaginare che Fratelli d’Italia possa essere influenzato o peggio manovrato da gruppi di estrema destra è ridicolo e falso. E dico che queste campagne servono per allevare giovani nostalgici, ignoranti della storia, affascinati dal proibito e dal folklore di un fascismo che non hanno nemmeno vissuto, a differenza di chi la guerra l’ha vissuta e ne porta le ferite. Beh, queste persone sono un’arma per i nostri nemici, perché diventano il loro strumento per attaccarci. Li cacceremo“.

Anche se non sembra avere problemi a dichiarare che “le leggi razziali sono state la pagina più brutta dell’umanità“, diversa è la posizione quando le viene chiesto perché, allora, i membri del suo partito non festeggino il 25 aprile e non si allineino mai alle posizioni antifasciste, principio fondante della nostra Costituzione. “Noi siamo lontanissimi dal fascismo, ma una cosa è la storia, altra l’antifascismo militante dello ‘ammazzare un fascista non è reato’, delle violenze di piazza, degli attacchi alle forze dell’ordine, di chi imbratta i monumenti in nome della cancel culture, di chi inneggia alle Foibe, dell’Anpi fatta da persone nate 30 anni dopo la Resistenza e che chiedono lo scioglimento di FdI. Questa è battaglia politica, non è storia”, incalza.

A questo punto, però, il partito dovrà decidere cosa ne sarà della carriera al suo interno di Carlo Fidanza dopo il suo coinvolgimento nell’inchiesta: “La colpa di Fidanza è aver frequentato una persona come Jonghi Lavarini che con noi non ha niente a che fare per ragioni di campagna elettorale. Un errore molto grave, infatti adesso è sospeso. Poi vedremo cosa verrà fuori da un’inchiesta a tratti surreale come si è visto nell’ultima puntata dove, una volta consegnato il presunto denaro, i giornalisti non si preoccupano di sapere da chi viene preso”.

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