Secondo il Global Climate Risk Index del 2019, l’Italia paga un grave tributo di vittime a causa degli eventi idro-meteorologici estremi (Eckstein, D., Hutfils, M.L. & M. Winges, Global Climate Risk Index 2019, Bonn: Germanwatch e.V., 2018). Tra il 1998 e il 2017, il mondo ha pianto 526mila vittime a causa di quasi 12mila eventi come alluvioni, frane, tempeste e ondate di caldo. Nello stesso periodo, in Italia, sono morte circa mille persone circa. In termini di danno medio annuale, siamo al tredicesimo posto della classifica globale: 3.100 milioni di dollari il valore assoluto. E il costo pro-capite supera i 50 euro all’anno, pagato pronta cassa da tutti i cittadini, nonne e nipotini inclusi.

Tra i paesi ricchi, peggio di noi fanno solo Francia, Cina e Russia. Al primo posto, per il numero di vittime causate da eventi meteo estremi negli ultimi 20 anni, c’è però il Myanmar, con più di 7mila morti ogni anno. Qui, la mortalità climatica fa concorrenza a quella pandemica: quasi 15 vittime all’anno ogni centomila abitanti, contro le 32 in due anni di pandemia (fonte: Covid-19 Dashboard della John Hopkins University).

Se si considerano i danni annuali rapportati alla consistenza economica delle nazioni, alcuni piccoli paesi del mondo sembrano già sopraffatti dalla propria vulnerabilità climatica. La Repubblica Dominicana sconta perdite superiori al 21 percento del proprio Prodotto Interno Lordo, Puerto Rico il 4 percento, Haiti quasi il 3 percento, senza contare la tragedia dei terremoti che tormenta quell’isola.

È una classifica poco simpatica, ma aiuta a capire quali siano i Paesi più vulnerabili nei confronti dell’estremizzazione del clima. Nel 2017, Porto Rico, Sri Lanka e Repubblica Dominicana furono le più colpite, nell’anno del devastante uragano Maria. Uragani e cicloni tropicali rendono i Caraibi una delle zone maggiormente a rischio nel prossimo futuro. Se il riscaldamento globale dovesse superare 1,5 o 2 gradi centigradi, il numero dei cicloni dovrebbe diminuire, ma potrebbero diventare ancora più pericolosi: la loro intensità potrebbe aumentare ulteriormente, riducendo nello stesso tempo la propria velocità lungo la traiettoria. Una combinazione letale per quelle terre, sospese su uno dei mari più belli del mondo.

Per le assicurazioni, i disastri alluvionali in assoluto più costosi sono quelli che colpiscono le zone più sviluppate e ricche della Terra. L’alluvione costiera che colpì la Thailandia nel 2011 è tuttora l’evento alluvionale più costoso mai registrato: dieci anni fa, la diabolica combinazione tra eventi meteorologici e mala gestione del rischio provocò 18 miliardi di dollari di danni assicurati, a valori correnti. Nel 2020, un anno di quiete rispetto alla tendenza storica del nuovo millennio, i danni delle catastrofi naturali sono stati poco più di 80 miliardi di euro. Per la massima parte sono disastri idrogeologici. E i danni maggiori li ha sofferti il Giappone, per via di due tifoni: Hagibis e Faxai.

I ricchi possono comunque leccarsi le ferite, pagarsi i danni, spendere quote crescenti di Pil per adattarsi: in ogni caso, tutto ciò fa girare l’economia, soprattutto quando non sorridono i furbetti del quartierino. E possono perfino continuare sul solco tracciato verso la crescita infinita. Questa politica è un po’ meno praticabile dai paesi poveri. Il clima sbatte più forte dove duole il dente della povertà. Sull’orizzonte delle future decisioni di politica internazionale, come rispondere in modo onesto e consapevole al manifesto del Climate Vulnerable Forum, pubblicato il 7 settembre 2021?

Non sono sicuro che “Glasgow debba partorire, giacché potrebbe essere l’ultima possibilità per l’umanità di evitare la catastrofe climatica” come afferma il forum. Ma non ho dubbi che, tra le richieste dei paesi poveri e vulnerabili della Terra, due siano fondamentali. Il mondo dei ricchi deve:

1) riconoscere che le azioni di adattamento sono una emergenza improrogabile per i paesi poveri e vulnerabili;

2) mobilitare un’azione rafforzata di sostegno della comunità internazionale per affrontare la migrazione climatica.

Nel corso del dibattito sul clima di queste ultime settimane, sono stato folgorato da un piccolo, stupido, irrilevante fatterello personale. Una banale coincidenza, del tutto casuale. Nella sua orazione milanese, la giovanissima Greta, icona di Fridays for Future, ha usato le stesse parole che avevate letto sul mio blog il giorno prima: “bla, bla bla!” Allora, avevo scritto che, nella planetaria ammuina sul clima che cambia, “non ho percepito alcunché di concreto, solo ambaradan, fuffa, blablazione”. Sospetto di condividere con la piccola Greta lo stesso maestro di semantica, uno dei maggiori pensatori italiani contemporanei, immortalato dal comico Crozza.
Dice Lord Illingworth, prototipo di dandy: “L’anima nasce vecchia ma ringiovanisce. Questa è la commedia della vita”. Gli risponde la giovane, progressista, libera Signora Allonby: “E il corpo nasce giovane ma invecchia. Questa è la tragedia della vita” (Oscar Wilde, Una donna senza importanza, Atto Primo, 1883). Che il vostro blogger stia, poco a poco, ringiovanendo?

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