La condanna in primo grado di Marco Siclari a 5 anni e 4 mesi, inflittagli dal tribunale di Reggio Calabria per scambio elettorale politico-mafioso, imbarazza anche Enrico Michetti, candidato a sindaco per il centrodestra a Roma. Il “tribuno” prestato alla politica e fortemente voluto in corsa per il Campidoglio da Fratelli d’Italia, il 21 settembre scorso si è ritrovato a una cena della Roma bene organizzata dal senatore forzista e dal suo amico e sostenitore avvocato Massimiliano Albanese. L’iniziativa, di cui ha dato conto questa mattina il quotidiano Domani, a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it è stata organizzata proprio da Forza Italia, che è uno dei partiti che sostiene la candidatura di Michetti. L’imbarazzo nasce dal fatto che Siclari era a processo per aver accettato, nel 2018, “la promessa di procurare voti da parte di Domenico Laurendi, appartenente al locale di ‘ndrangheta di Santa Eufemia della famiglia mafiosa Alvaro”.

Nelle carte dell’inchiesta Eyphemos dalla dda di Reggio Calabria si sostiene che due mesi dopo le politiche del 2018, Siclari si sarebbe interessato per far ottenere il trasferimento a Messina a una dipendente delle Poste, parente di Natale Lupoi, ritenuto dai pm affiliato alla ‘ndrangheta e condannato a 19 anni e 4 mesi anni di carcere. “La prossima settimana dobbiamo parlare con Tajani a questo qua, Tajani, personalmente lo conosce a questo… questo qua è di Riccione”. Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e da tempo capobastone politico di Siclari, non è indagato. Siclari, invece, è stato condannato in primo grado il 28 settembre, una settimana esatta dopo la cena.

Ma cosa c’entra il senatore reggino con Michetti? Siclari è calabrese di nascita ma romano di adozione, molto legato alla politica capitolina. In Campidoglio è stato anche consigliere comunale, sempre nelle file forziste, fra il 2008 e il 2013 (con Gianni Alemanno sindaco). Il feeling con Tajani nasce da qui e dal fatto che, generalmente, i calabresi-romani rappresentano una comunità molto unita, non tagliano i ponti con la loro terra d’origine e rappresentano un bacino di voti importante per i big. E Siclari non ha fatto (e non fa) eccezione. Alla cena del 21 settembre era presente un importante pezzo di mondo forzista legato alle due attuali anime azzurre, quella “tajanea” e quella che fa capo a Maurizio Gasparri, l’attuale coordinatore capitolino del partito. In questo momento, a quanto ricostruito, è in atto una sorta di pace armata fra le due correnti: c’è da spingere forte per far eleggere in aula Giulio Cesare il consigliere dell’VIII Municipio, Simone Foglio, eterna promessa di Forza Italia su Roma. La sua elezione è “minacciata” da due concorrenti “scomodi”: Marco Di Stefano, appartenente alla corrente Udc, e Marcello De Vito, l’ex pentastellato a processo per corruzione. Il timore dei forzisti, spiegano fonti informali del centrodestra, è che se, in caso di sconfitta, il partito di Berlusconi eleggesse un solo rappresentante e questo non fosse “organico”, gli azzurri scomparirebbero dalla politica romana.

Al termine dell’incontro della scorsa settimana, hanno preso la parola oltre ad Albanese e a Siclari, proprio Foglio, Gasparri e Michetti. Dall’entourage del candidato sindaco fanno sapere che “Michetti si è sempre detto garantista, dunque si attendono i tre gradi di giudizio – spiega il suo ufficio stampa – tuttavia bisogna sottolineare che il giorno della cena non era ancora intervenuta alcuna condanna”. Inoltre, “è falso affermare che Siclari abbia ruoli nella campagna elettorale di Michetti, in quanto non solo non fa parte del comitato elettorale ma nemmeno dei quadri cittadini e regionali di Forza Italia, che è solo uno dei partiti che lo sostengono”.

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