Ci sono tutti gli ingredienti per una crisi non solo economica, bensì politica, sistemica: un’immobiliare enorme che sta fallendo, investitori infuriati che reclamano i propri quattrini, il rischio che il contagio si estenda a tutto il settore, che rappresenta tra il 16 e il 25 per cento del pil cinese. Così molti parlano di “momento Lehman Brothers” per l’economia cinese, memori della crisi made in Usa del 2008 che si è poi estesa a tutto il sistema finanziario globale. Curiosamente non alla Cina, che ai tempi si era protetta dalla reazione a catena con un pacchetto di stimoli da 4 trilioni di Renminbi (586 miliardi di dollari). Dove erano finiti? Proprio nell’immobiliare (e nelle infrastrutture). Certo, ai tempi c’era bisogno di ricostruire il Sichuan devastato dal terremoto, bisognava dare alloggio decente a milioni di cinesi che stavano varcando la soglia del ceto medio, insomma, era necessario darci dentro con il cemento.

Oggi però la corsa al mattone sembra presentare il conto, con il caso di Evergrande, il secondo maggiore sviluppatore immobiliare cinese, su cui grava un debito da 305 miliardi di dollari e le cui azioni hanno perso l’87% nel corso dell’anno e nella seduta del 20 settembre cedono più del 18,9%. I suoi amministratori stanno cercando compratori per le attività collaterali e soluzioni per ristrutturare il debito, ma lasciano già trapelare che il 21 settembre non ripagheranno una prima tranche dovuta a due banche. È tutto poco chiaro e questo non fa che esasperare creditori e investitori, molti dei quali hanno acquistato da Evergrande case che non sono state ancora costruite e difficilmente lo saranno, visto che non c’è liquidità per pagare fornitori e maestranze, ai quali sarebbero stati offerti appartamenti vuoti come forma di pagamento.

Come si è arrivati fin qui? La bolla immobiliare cinese è stata per anni una “bolla garantita”. Così l’aveva definita l’economista Zhu Ning in un libro del 2016, China’s Guaranteed Bubble, appunto. La tesi sosteneva che l’investitore immobiliare ha la certezza incrollabile che non perderà mai soldi comprando una nuova proprietà, perché se dovesse capitare qualcosa, la catena sopra la sua testa – impresa edile, banca, Stato – si assumerà la responsabilità per l’investimento irresponsabile. Questa convinzione è alimentata dalle implicite garanzie del governo e degli imprenditori immobiliari e dà luogo a comportamenti ai nostri occhi balzani, come quello di You Ning, un’impiegata sui 30 anni che tempo fa raccontò a Ilfattoquotidiano.it di come avesse messo su casa a Taiyuan, capoluogo dello Shanxi: un’amica le aveva chiesto di accompagnarla in un’agenzia immobiliare a chiedere informazioni su un certo appartamento. You Ning avrebbe avuto tempo solo in pausa pranzo e così le due ragazze erano andate all’immobiliare in quell’oretta scarsa. Quando erano uscite dall’agenzia, l’appartamento l’aveva appena comprato You Ning. “Sognavo di avere una casa fin da piccola”, raccontava. “Quando l’ho comprata, da umile impiegata mi sono sentita di colpo una donna d’affari. E nel giro di tre anni, il valore della mia casa è già più che raddoppiato”. Il fatto è che i proprietari di case si aspettano che il valore salga costantemente, perché è andata sempre così. Qui, non c’entrano più le esigenze dell’urbanizzazione, il bisogno di case per viverci, ed entra in gioco invece la rendita.

Dopo la repressione di Piazza Tian’anmen del 1989, quando la terapia shock neoliberale della liberalizzazione dei prezzi creò inflazione galoppante, malcontento popolare e un movimento che spaventò parecchio il Partito-Stato, Pechino decise di tenersi buoni i ceti urbani, offrendo loro la proprietà immobiliare. All’inizio, operai, burocrati, impiegati delle imprese di Stato non capivano perché mai dovessero comprare casa – anche ai prezzi del tutto vantaggiosi con cui veniva loro offerta – visto che già ci vivevano più o meno gratis grazie alla danwei, l’unità di lavoro, che nella vecchia Cina pensava a tutto. Ma ben presto capirono che la proprietà immobiliare era la leva con cui potevano arricchirsi: le compravendite facevano crescere i valori immobiliari, oggi acquistavi a dieci e domani vendevi a venti, tanto più che come ulteriore stimolo il governo aveva deciso di non mettere nessuna tassa sulla proprietà. Quindi potevi anche tenere un appartamento vuoto in attesa che il prezzo salisse, come una pagnotta che lievita.

Dopo l’industrializzazione forzata dei decenni precedenti, si rafforza proprio in quegli anni a cavallo tra vecchio e nuove millennio il cosiddetto “pregiudizio urbano”, cioè l’idea che le campagne e l’economia agricola siano sinonimo di arretratezza, mentre il modello di sviluppo basato sull’urbanizzazione infinita sia l’unico percorribile. Così, la bolla immobiliare si estende dalle metropoli di primo livello (Pechino, Shanghai e le altre) a quelle di secondo, terzo (come la Taiyuan citata sopra) e infine anche alle campagne. Qui, nella Cina profonda, il business del mattone capita a fagiolo anche per i governi locali, perennemente indebitati, che proprio cedendo terreni agli sviluppatori fanno cassa.

Le grandi immobiliari come Evergrande hanno così ampliato il proprio business all’infinito, tracimando in altri settori, per conquistare nuovi territori e nuovi mercati. L’hanno fatto indebitandosi alla grande e basandosi sulla certezza di ottenere credito infinito dalle banche. Tempo fa, uno sviluppatore immobiliare aveva garantito che la maggior parte dei palazzinari come lui fosse indebitata. “Sì, più del cento per cento di indebitamento”, aveva risposto. “Qui siamo in Cina – aveva poi spiegato – bisogna avere guanxi”, cioè relazioni. “Sposti il debito di qui e poi lo sposti di là”. In pratica, se hai le conoscenze giuste, le banche continueranno a concederti crediti anche se non li puoi ripagare. E le banche sono di Stato. L’imprenditore in questione era una briciola rispetto a Evergrande, che negli anni ha investito nelle auto elettriche, nel settore sanitario, nelle assicurazioni, nell’agroalimentare, nel turismo, nell’intrattenimento, nei media e infine anche nel calcio, con la squadra aziendale – il Guangzhou FC – che ha vinto ininterrottamente il campionato nazionale dal 2011 al 2017 per poi rivincerlo nel 2019 (nel 2018 e 2020 è arrivato solo secondo).

Tuttavia, di recente, il governo cinese ha adottato politiche più restrittive proprio sull’immobiliare, cioè ha chiuso i cordoni della borsa, cercando di raffreddare la bolla speculativa. Lo scopo, che a dire il vero Xi Jinping dichiara fin dalla sua salita al potere nel 2013, è quello di veicolare credito verso settori più strategici, come la tecnologia, nonché di contenere i prezzi delle case e dei terreni, ormai schizzati alle stelle. Nel 2020, il governo ha diramato dei criteri di prudenza finanziaria per gli sviluppatori immobiliari, tre “linee rosse” che stabiliscono se possano accedere a nuovo credito sulla base del loro indebitamento complessivo e della solvibilità a breve termine. Sanciscono cioè se possano costruire ulteriormente. Con le nuove disposizioni, molte di queste imprese dovrebbero ridurre i prezzi degli alloggi per fare cassa, ma chi è ultra indebitato e su più fronti si trova in grossa difficoltà.

È questo il caso di Evergrande, la cui esposizione eccessiva non rifinanziabile genera una reazione a catena, perché molti cantieri si interrompono, compratori di immobili che hanno già pagato si infuriano, i fornitori non vengono pagati, il titolo crolla. A questo punto bisognerà attendere le mosse del governo cinese, sempre combattuto tra salvare le grandi imprese dai fallimenti per timore che destabilizzino il sistema economico – la famosa “bolla garantita” – e dare invece un segnale forte agli speculatori del mattone. Laddove Evergrande sarebbe l’esempio per tutti.

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