Stipendi bassi, ma anche una subordinazione gerarchica spesso non funzionale e poca spinta alla mobilità di carriera. Motivi per non entrare nelle pubbliche amministrazioni, ma anche per lasciarle. Se negli Usa mancano 780mila lavoratori nel settore pubblico perché il privato paga di più, in Italia non va certo meglio, come ha dimostrato il caso clamoroso del concorso per il Sud. Un flop: solo 821 gli assunti a fronte di 2.800 profili ricercati con urgenza per gestire i fondi di coesione. Lo stesso ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ha ammesso: “Forse abbiamo sbagliato qualcosa”. Leggi contratto a termine e salario medio basso per competenze così specialistiche, pagate anche in questo caso molto meglio nel privato. D’altro canto accade anche nelle scuole di Milano, dove non si trovano docenti di informatica (ne mancano duemila) e di altre materie tecniche, perché quelle sono skill pagate bene dalle aziende private. E che il gap di retribuzione sia riscontrabile soprattutto per le competenze tecniche “che nel mondo pubblico non vengono assolutamente riconosciute” lo conferma a ilfattoquotidiano.it il segretario nazionale Fp Cgil Florindo Oliverio, secondo cui quanto accaduto con il concorso per il Sud rispecchia una situazione ben nota “che non si può superare solo con i nuovi bandi, ma che necessita di un cambio strutturale”.

COM’È FINITO IL CONCORSO PER IL SUD – Gli errori sono stati tanti, a iniziare dalle nuove modalità di reclutamento che prevedevano una fase pre-selettiva basata sulla valutazione dei titoli, che ha sbarrato la strada ai giovani neo-laureati. Così alle selezioni vere e proprie si è presentato in media il 65% degli ammessi per titolo, 8.582. In alcune regioni non si è arrivati neppure alla metà dei candidati ammessi per titolo. Non è bastato che il Dipartimento della Funzione Pubblica abbia rivisto la soglia di sbarramento per la partecipazione alla prova scritta e abbia ammesso gli altri 70mila candidati di cui erano già stati valutati i titoli nella fase pre-selettiva. Si è arrivati a 1.483 idonei (circa la metà dei posti da coprire) ed il problema principale si è verificato proprio nei profili altamente specializzati. Circa la metà dei posti era destinata a funzionari tecnici esperti: se ne cercavano 1.412 e solo 167 sono risultati idonei (restano scoperti 1.245 posti). Mentre sono stati 765 gli idonei per i 169 posti di esperto amministrativo giuridico, settore però dove gli sbocchi occupazionali sono storicamente molto difficili. Per il profilo di esperto in gestione, rendicontazione e controllo, gli idonei sono stati 196 e 722 i posti rimasti scoperti. Durante il Question time del 14 luglio alla Camera, rispondendo a un’interrogazione della deputata del M5S Roberta Alaimo sul concorso, il ministro ha annunciato un nuovo bando, in autunno, per la copertura dei posti rimasti (quasi 2mila, sempre a tempo determinato). E ha parlato della necessità di “un serio approfondimento sulle condizioni di inquadramento delle figure più qualificate, anche dal punto di vista retributivo” e sulla qualità e tipologia degli strumenti di selezione.

STIPENDI, NON C’È GARA CON IL PRIVATO – “Quando fu pubblicato il bando annunciato con tanto clamore – spiega Oliveiro – evidenziammo tre problemi. In primo luogo, anteporre la valutazione di titoli alle prove-selettive, significava escludere un platea molto ampia di giovani laureati che magari non hanno alle spalle una famiglia agiata, non hanno frequentato master o studi privati. Ma il problema del concorso, come ha ammesso lo stesso Brunetta, sono state anche le condizioni poco appetibili. In primis per quanto riguarda gli stipendi. “Una scommessa persa in partenza, come avviene sempre quando confrontiamo il pubblico e il privato” commenta Oliveiro, ricordando che per avere certe competenze occorrono anni di sacrifici, di studi e, alla fine, si affronta un concorso molto selettivo per titoli e prove. Nel caso specifico del bando per il Sud, lo stipendio netto è tra i 1.400 e i 1.500 euro (tra i 1.800 e 1.900 lordi).

Una situazione già nota. “Oggi quando un laureato fa il suo ingresso in un ministero, inquadrato in una posizione iniziale apicale, cioè di terza area F1 (o di area C, per esempio, all’Inps) – aggiunge il sindacalista – parte da 30mila euro lordi all’anno (comprensivi di salario accessorio) che, per tredici mensilità, sono circa 1600-1700 euro netti al mese (tra i 2.200 e i 2.300 lordi)”. All’Inps ci sono 10mila euro lordi all’anno in più, ma solo in termini di salario accessorio, dunque variabile. “Sfido chiunque a dimostrarmi che un ingegnere o un informatico assunto in un’azienda privata guadagna (nel rispetto dei contratti) 1600 euro netti al mese”, commenta il segretario nazionale Fp Cgil, ricordando che molti laureati vincitori del concorso per il Sud “si trovano ora alle prese con il trasferimento in un’altra città, pagando affitti e spese varie”. Ma il problema va ben oltre i neo-laureati: “Provate a immaginare un ingegnere del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che deve firmare progetti per opere pubbliche da svariati milioni di euro, come ponti e dighe, e che guadagna uno stipendio di 1800-1900 euro al mese. Ora proviamo a immaginarlo in una grande azienda”. Non c’è gara. “Eppure sono quelle le realtà con cui ci si deve misurare se si vuole, come dice Brunetta, accattivarsi il meglio che c’è sul mercato”.

NON SOLO UNA QUESTIONE ECONOMICA – Ma il gap non è solo negli stipendi: “Uno dei problemi che ci viene sollevato dai giovani assunti, penso all’Agenzia delle Entrate o all’Inps, riguarda la subordinazione per via gerarchica che rende il rapporto di lavoro eccessivamente imbrigliante”. Il lavoro di un giovane laureato in ingegneria o informatica è oggetto di giudizi anche tecnici da parte di superiori, spesso senza alcuna competenza specifica. Altro punto debole è quello della spinta alla mobilità di carriera. Che non c’è. “Come entri, così esci. Puoi avere tutti i meriti che vuoi, ma non c’è riconoscimento della capacità professionale”. E non sono aspetti di poco conto. “Quando nel 1985 sono entrato alla Ragioneria generale – racconta Oliveiro – l’obiettivo era lavorare per l’amministrazione, punto. Oggi, i giovani assunti pensano innanzitutto alla propria realizzazione ed è giusto anche così, è l’evoluzione dei tempi”. Solo che un’amministrazione mal pagata, dove non vengono riconosciuti margini di autonomia e responsabilità non è certo da considerarsi ‘allettante’. E la mancanza di mobilità di carriera è strettamente legata alle retribuzioni. “Oggi ci sono lavoratori che, dopo 25-30 anni di servizio, sono ancora inquadrati nelle posizioni iniziali. Un lavoratore che entra in ministero – racconta – entra in terza area F1 e, in teoria, può arrivare in F6. La maggior parte, però, rimane in F1 o F2. Così il neo laureato che entra all’Inps, vede che il collega anziano, dopo più di 30 anni, guadagna poco più di lui”. Di fronte a questo non c’è bando che tenga e molti, dopo due o tre anni, vogliono andare via, anche verso il privato.

UN CAMBIAMENTO ‘STRUTTURALE’ – “Ecco perché occorre intervenire in maniera strutturale e non solo sul bando o sui neo assunti. I contratti collettivi nazionali di lavoro devono affrontare anche il tema degli sviluppi di carriera e del sistema di classificazione” aggiunge Oliveiro. In questi mesi si sta portando avanti la trattativa con l’Aran per il rinnovo del Ccnl 2019/2021 del comparto delle Funzioni Centrali. “Ma se va bene – spiega – con i contratti riusciamo ad arrivare ad aumenti medi lordi mensili di 90 euro. Non basta se voglio misurarmi con chi guadagna 1900-2000 euro al mese”. Anche il nuovo bando annunciato da Brunetta per l’autunno “farà i conti con le regole del rapporto di lavoro e con i contratti oggi vigenti, per come saranno da qui a qualche mese, auspicabilmente rinnovandoli”. A marzo scorso Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto un patto con il premier Mario Draghi e il ministro Brunetta sul lavoro pubblico, nel quale il Governo si impegna a stanziare nella prossima legge di Bilancio nuove risorse per il passaggio a un nuovo sistema di classificazione. “Bisogna vedere di quante risorse parliamo sapendo, però, che il sistema di classificazione deve valere per tutti, evitando conflitti tra vecchi e nuovi assunti” aggiunge Oliveiro. Il sindacalista è critico rispetto all’idea “che viene fuori dal ‘Decreto reclutamento PA, convertito in legge, di una nuova area di elevata professionalità che includa solo i nuovi assunti e non faccia anche chiarezza tra quelli che, visto il blocco delle assunzioni, in questi anni si sono rimboccati le maniche. Non sono tutti, ma ci sono”. Eppure nelle PA non c’è mai stata una certificazione e una ricognizione delle competenze effettivamente espresse. “A questo riguardo – conclude – sarebbe utile uno strumento come il portale per il reclutamento nella pubblica amministrazione ‘InPa’ su cui da agosto è possibile inserire il proprio curriculum, da estendere non solo a quelli che pensano di entrare, ma anche a quelli che già sono nelle amministrazioni pubbliche”.

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