di Federico Magrin

Martedì 17 agosto i cellulari di un’intera nazione hanno vibrato. Un fulmine inaspettato nel cielo burrascoso. La Nuova Zelanda è entrata nel livello di allerta 4. Non si sentiva da molto questa emergenza. Leggendo i giornali italiani, inglesi, spagnoli, francesi e americani, mi ricordavo dello stato di emergenza in cui vertevano l’Europa e gli Stati Uniti. Continenti che lentamente si stavano riprendendo grazie alla copertura vaccinale, prima dell’arrivo della variante Delta.

La Nuova Zelanda viveva uno splendido isolamento senza precedenti. Decantata da tutti come il luogo ideale in cui sopravvivere alla pandemia, come il miglior luogo in cui rifugiarsi da una imminente catastrofe.

Le strade sono buie, peste. Per strada non c’è nessuno. Un paio di camion per la raccolta rifiuti e un motorino. Il cemento è ancora bagnato dal brutale temporale che si è abbattuto su Wellington martedì. Il cielo è di un grigio metallico. Il profumo di cioccolata calda che usciva da Ombra, un ristorante veneziano su Cuba Street, è scomparso; così come l’odore di carne asada del ristorante messicano di fronte. Pochi passanti sbirciano curiosi e muti dietro le scure vetrine di Courtenay Place, cercano una vita che si è arrestata all’improvviso – una vita sospesa. Il loro sguardo non è colto da nessuno.

Durante il Covid-19 Update del 17 agosto, però, Jacinda Ardern, prima ministra della Nuova Zelanda, era visibilmente in allerta, anche lei, sul palco, di fronte ai giornalisti. Simbolo di una nazione, incarnazione di un governo che ha vinto con una maggioranza quasi assoluta il voto popolare alle ultime elezioni. Il volto tirato, il sorriso increspato, rigido, forzato. Appare tesa, appena sopra tono, cerca spesso il bicchiere d’acqua al suo fianco. La leader progressista che tutto il mondo decanta è in difficoltà. La sete tradisce uno stress e una tensione che non si vedevano da molto tempo — da più di un anno. Si sforza di parlare di gentilezza, calma e cortesia. Di rispetto reciproco e di tranquillità. I supermercati sono un servizio essenziale, dice la Ardern, non c’è alcun bisogno di affrettarsi e accalcarsi. Le prime immagini di alcuni supermercati di Auckland avevano iniziato a impazzare online. La folla si era riversata a comprare i beni essenziali e non. Come al solito, il panico aveva prevalso sulla ragione. Ma non c’è spazio per il pensiero razionale di fronte all’emergenza e all’insolito: il gregge è irrazionale per costituzione. Sarà il primo lockdown negli ultimi 16 mesi.

Il dottor Ashley Bloomfield, direttore esecutivo del Ministero della Salute, ha accompagnato la Ardern, come spesso accade, dal podio adiacente, per la conferenza stampa. In mezzo a loro, una traduttrice per il linguaggio dei segni. Bloomfield risponde alle domande dei giornalisti di carattere più specificamente sanitario. Ardern a quelle di natura politica. I giornalisti sono insolitamente cortesi e capaci di comprendere un’emergenza che in qualsiasi altro paese al mondo, o quasi, sembrerebbe una follia. La strategia adottata dalla Nuova Zelanda può essere paragonata solo a quella dell’Australia tra i paesi liberali, o alle rigorose politiche di controllo della Cina o di Singapore nel resto del mondo. Una risposta di ferro per una situazione accidentale.

Un uomo di 58 anni ha viaggiato nella penisola del Coromandel, un territorio nel nord-est della Nuova Zelanda, e martedì 17 ha riportato un test positivo al Covid. L’intera nazione si è barricata in se stessa. L’intera nazione è paralizzata. Un caso e la prima ministra ha dichiarato lo stato di emergenza massimo. Livello di allerta 4 significa che il virus viaggia incontrollato all’interno del paese. Un singolo caso.

I quattro diversi livelli di allerta vengono adottati a seconda dell’urgenza e della gravità dei casi trovati. Le strutture ricettive e di isolamento sono le uniche che riportano casi a livello settimanale; l’ultimo caso all’interno della comunità era stato riportato più di sei mesi fa. Queste strutture sono hotel adibiti a ricevere chi vuole entrare nel paese, dove bisogna passare due settimane in isolamento riportando due test negativi. La scorsa settimana erano iniziate le discussioni per una possibile apertura ai viaggi verso le zone a basso rischio del mondo, rimuovendo l’obbligatorietà della quarantena al ritorno. Ma dopo il fallimento della Trans-Tasman Bubble con l’Australia, anche questi accenni ad un’apertura tramonteranno nel mare che circonda Aotearoa.

Il sistema adottato dal governo Labour è stato, fin dall’inizio della pandemia, quello dell’eliminazione (elimination strategy). Per ogni rischio corso, si rispondeva con diversi livelli d’allarme. Le frontiere sono chiuse al resto del mondo, fatta eccezione per le Cook Islands, e le cittadine e i residenti fanno ancora fatica a rientrare nel paese. Una reazione senza precedenti, dura, ma che fin da principio si è basata sulla kindness richiesta dalla prima ministra. Un concetto molto vicino alla solidarietà italiana.

Lo studio dei genomi ha permesso al governo di individuare i gruppi di appartenenza e la provenienza dei singoli casi. Studiando la genomica del virus, i casi vengono riportati ad un certo cluster. Mercoledì 18 è stato confermato che l’uomo di Devonport e i dieci nuovi casi a lui connessi nella comunità rispondono alla variante Delta. Primi casi nel paese che arrivano dal Nuovo Galles del Sud. Lunedì 23 è stato sospeso il Parlamento in presenza, mantenendo solo gli incontri delle Commissioni. La popolazione neozelandese è stata parzialmente afflitta dalla pandemia, se la si compara con il resto del mondo. La strategia del governo Labour e la geografia hanno fatto buon gioco. In Nuova Zelanda, ad oggi ci sono 107 casi attivi nella comunità e 47 al confino. Da marzo 2020 vi sono stati ‘solo’ 2874 casi di Covid-19 e 26 morti. Numeri che in un paese come l’Italia si vedono quotidianamente.

Lo splendido isolamento in cui sono barricate l’Australia, Taiwan, Singapore e la Nuova Zelanda era un ottimo punto di partenza per affrontare i primi momenti di questa faticosa ed estenuante pandemia. Ma ora? La copertura vaccinale sta superando il 50% della popolazione nei paesi europei e negli Stati Uniti, garantendo un momento di respiro. Al contrario, la Nuova Zelanda e l’Australia sono partite in ritardo sulla campagna vaccinale e ora stentano ad arrivare al 20% del totale della popolazione. Forse che la variante Delta spingerà i paesi anglofoni dell’emisfero australe ad accelerare sulla copertura vaccinale? Forse che questi recenti lockdown che hanno colpito non solo la Nuova Zelanda, ma anche alcuni stati dell’Australia, spingeranno i due paesi fuori dal loro splendido isolamento sulla campagna vaccinale?

Le strade sono deserte. Una pioggia che annuncia la primavera cade lieve sulle carreggiate vuote. Una lunga fila di macchine è impilata su Taranaki Street, in attesa di poter accedere al ‘Covid-19 centre’ dove, a fronte di una prenotazione, si può ottenere gratuitamente un test. Questo deserto di vetro e cemento mi ricorda la primavera che non ho vissuto in Italia nel 2021. Guardavo il mondo esterno da una finestra e tutto passava lentamente. Una nostalgia di un tempo che vorrei non tornasse. Ma indosso la divisa e vado a lavoro. Sono un lavoratore essenziale. La prima ministra Ardern ha fatto forza per tutta la durata della pandemia sul concetto di squadra e di collaborazione, su come ne usciremo insieme: un team. Il team di cinque milioni non si ferma.

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