Test di massa e blocchi mirati alle attività. Così la Cina ha azzerato domenica i contagi a diffusione interna a un mese circa dall’accertamento di metà luglio del focolaio di variante Delta del Covid emerso all’aeroporto di Nanchino. Per la Commissione sanitaria nazionale, i casi importati sono stati 21 di cui 5 nel Guangdong, 4 a Shanghai, 3 sia a Tianjin sia nello Yunnan, 2 a Pechino e uno ciascuno nelle province di Shanxi, Zhejiang, Henan e Sichuan. Continua la campagna vaccinale: al 21 agosto erano oltre 1,92 miliardi le dosi di vaccini anti Covid-19 somministrate.

Dalla Cina è arrivato lo studio che ha ipotizzato la mutazione, rilevata per la prima volta in India, potrebbe correre anche sulle gambe di persone che stanno apparentemente bene, ma in realtà hanno già il virus e ancora non lo hanno scoperto. Secondo l’analisi di un focolaio Covid che si è verificato nel Guangdong in Cina, le persone infette da questo mutante hanno maggiori probabilità di diffondere il virus prima di sviluppare i sintomi, rispetto chi si contagia con le versioni precedenti di Sars-CoV-2. E questo potrebbe succedere nel 74% dei casi. Il lavoro che porta un gruppo di scienziati a tale conclusione è citato in un articolo pubblicato online sulla rivista Nature.

Benjamin Cowling, epidemiologo dell’Università di Hong Kong coautore dello studio non ancora sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su una piattaforma di preprint (‘medRxiv’), ha preso in considerazione con i colleghi i dati dei test di 101 persone contagiate tra maggio e giugno nel Guangdong e i dati dei loro contatti stretti. Gli scienziati hanno scoperto che in media le persone avevano quasi 2 giorni (1,8) di tempo per liberare Rna virale prima di mostrare i segni di Covid. Una finestra pericolosa e più ampia rispetto a quella calcolata in epoca pre-Delta (che era di 0,8 giorni).

I ricercatori hanno anche confermato che le persone infette da Delta avevano una carica virale più alta di quelli contagiati dal virus originario. E che i casi indice non vaccinati o con all’attivo solo la prima dose avevano maggiori probabilità di trasmettere l’infezione ai loro contatti rispetto a quelli che avevano ricevuto il ciclo completo a doppia dose. Il calcolo che viene riportato nel lavoro indicherebbe che il 74% delle infezioni da Delta si è verificato durante la fase pre-sintomatica (73,9%), una percentuale maggiore rispetto alle varianti precedenti. Questo alto tasso potrebbe aiutare a “spiegare come questa variante sia stata in grado di diventare il ceppo dominante in tutto il mondo“, afferma Barnaby Young, medico del Centro nazionale per le malattie infettive di Singapore.

I ricercatori hanno anche calcolato il ‘numero di riproduzione di base’ (R0), cioè il numero medio di persone contagiate da un singolo infetto in una popolazione suscettibile. Per la variante Delta questo indice ha un valore di 6,4, molto più alto di quello stimato per la versione originaria di Sars-CoV-2 (cioè 2-4) stimato per la versione originale di SARS-CoV-2, afferma Marm Kilpatrick, University of California, Santa Cruz. “Delta si muove un po’ più velocemente, ma è molto più trasmissibile”, evidenzia. Nello studio una piccola quota di partecipanti ha sviluppato infezioni ‘breakthrough’ da Delta dopo 2 dosi di vaccino Covid basato su virus inattivato. Ma il prodotto scudo ha ridotto la carica virale al picco dell’infezione. Ed è stato stimato che i vaccinati hanno anche il 65% di probabilità in meno di contagiare qualcun altro, rispetto ai non vaccinati. Questa riduzione, conclude Young, rassicura sul fatto che “i vaccini rimangono efficaci e una parte vitale della nostra risposta alla pandemia”.

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