A Roma è lotta alle truffe perpetrate per decenni da imprese private e cooperative nell’ambito dei piani di zona. Una vera e propria bomba sociale, che riguarda migliaia di famiglie a rischio sfratto, e che è ancora da disinnescare del tutto. “Per la prima volta, però, l’amministrazione comunale ha iniziato ad aggredire il problema e ha messo al sicuro oltre 500 famiglie, allentando quella può diventare una bomba sociale”, spiega l’assessore all’Urbanistica di Roma, Luca Montuori.

LA VICENDA – Sul finire degli anni Novanta il ministero delle Infrastrutture lancia un bando per la realizzazione di 20mila alloggi nella Capitale: un sistema di edilizia residenziale pubblica destinata alla locazione o alla vendita di appartamenti a prezzi calmierati per famiglie con un reddito e una situazione patrimoniale entro una certa soglia. Il bando si traduce in Piani di zona: si tratta di terreni di proprietà del Comune su cui le imprese, senza dover riconoscere il cosiddetto onere del permesso a costruire, possono realizzare le palazzine avvalendosi anche di uno stanziamento a fondo perduto da parte della Regione Lazio. Intorno al 2010, però, per chi si era avvicinato a questa opportunità si apre un incubo che soltanto ora inizia a vedere uno spiraglio d’uscita. L’impresa, infatti, in cambio delle agevolazioni pubbliche, doveva garantire prezzi calmierati rispetto al mercato edilizio e la realizzazione delle opere pubbliche necessarie: fogne, strade, illuminazione, e così via. In molti, troppi casi, le opere pubbliche non sono state sviluppate. Le vendite e i contratti di locazione degli immobili, invece, sono stati stipulati tramite cooperative mentre le abitazioni erano ancora in costruzione. “Le imprese avevano presentato alla Regione Lazio un Quadro tecnico economico (Qte) da 1.085 euro al metro quadro, ma ai cittadini poi è stato chiesto il doppio al momento degli atti di compravendita”, spiega Monica Polidori, del Comitato del Piano di zona di Montestallonara. “Da 20 anni a questa parte, quella che era una legge fatta bene per chi non poteva permettersi una casa a prezzo di mercato, si è trasformata in una truffa, fruttuosa solo per i costruttori. Abbiamo stimato che l’operazione possa aver creato un danno all’erario per alcuni miliardi di euro”, sottolinea Polidori.

L’INTERVENTO COMUNALE – Dal 2017 a oggi sono state annullate 13 convenzioni in 8 piani di zona per un totale di oltre 500 famiglie messe al sicuro. Gli immobili ora verranno acquisiti al patrimonio capitolino e le famiglie potranno dialogare direttamente con gli uffici comunali. “Abbiamo fin da subito voluto verificare i casi in cui è venuto meno il rispetto dei patti e degli obblighi convenzionali – sottolinea l’assessore Montuori – e non si era tenuto conto della finalità del grande investimento pubblico, fatto dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni, nei confronti dei cittadini destinatari della misura”. Il Campidoglio per questo ha costituito una commissione speciale d’indagine. “Per 18 mesi ha svolto un ruolo fondamentale d’inchiesta e indirizzo – prosegue Montuori –. Era inammissibile permettere che, nelle more della definizione di controversie legali, si commettessero errori irrimediabili, quanto imperdonabili, nei confronti dei cittadini su un tema così delicato: le persone si sono improvvisamente trovate nelle condizioni di essere attaccate nel bene primario più importante, insieme alla salute, ovvero la sicurezza dell’abitare. Persone che hanno versato ingenti somme vedono le loro case in vendita all’asta, si vedono recapitare ordini di sfratto, ricorsi in tribunale”, conclude l’assessore.

LE FAMIGLIE – “Abbiamo versato, chi più chi meno, circa 90mila euro di acconto per l’acquisto di una casa quando ancora era in costruzione – racconta Martina Pardo, residente di Colle Fiorito e rappresentante dell’associazione Giusta Casa –. Era il 2010, tre anni dopo gli appartamenti erano pronti ma non ci venivano consegnati con la scusa che mancavano alcune opere pubbliche”. E così per le famiglie è iniziato un vero e proprio calvario. “Passavamo le notti, a turno, in strada o nei giardini per controllare che le abitazioni non venissero occupate abusivamente”, prosegue Pardo. Il vero dramma, però, è iniziato quando hanno cominciato ad arrivare notifiche di sfratto perché tecnicamente le famiglie risultavano morose nei confronti dell’impresa titolare avendo sottoscritto un contratto con una cooperativa nel frattempo fallita. “Si sono aperti contenziosi civili e abbiamo ricevuto anche denunce da parte dei costruttori”, racconta Pardo. A oggi con i primi annullamenti e le prime revoche delle convenzioni in diversi piani di zona della Capitale “la situazione non è ancora del tutto risolta – conclude Monica Polidori –. Ora il Comune deve acquisire le case con delibera comunale. È vero che è stato realizzato un gran lavoro mai fatto, abbiamo bussato per anni alla porta dei sindaci e della Regione Lazio senza successo. Ora però ci aspettiamo celerità nella trascrizione delle abitazioni nel patrimonio comunale”.

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