Ci sentiamo traditi. I nostri collaboratori hanno creduto in noi e ora sono abbandonati e rischiano a vita. Abbiamo lasciato collaboratori a Kabul e non sappiamo ora come aiutarli, come dobbiamo fare. Donne che non possono muoversi, che hanno collaborato con noi, che abbiamo formato, ostetriche, medici, che lavoravano con noi e ora sono abbandonati”. Mostra poco sollievo Ale Furiake, medico afghano che lavora con l’Agenzia italiana per la Cooperazione e si trovava sull’aereo arrivato oggi a Fiumicino proveniente da Kabul. Prevale infatti la forte preoccupazione e la rabbia per il proprio Paese lasciato nelle mani dei Talebani dopo il precipitoso ritiro delle truppe Nato, che l’uomo esterna ai giornalisti presenti nello scalo romano. “. I nostri ospedali – racconta – sono abbandonati, non hanno farmaci, e i malati muoiono. I bambini non hanno da mangiare. È una situazione disastrosa“. “Io – racconta l’afghano – sono un medico rifugiato che ha collaborato a progetti sanitari a Kabul e nelle province. Abbiamo costruito progetti e ora sono abbandonati. Avevo creduto molto nella transizione e ora sono deluso”.
E la speranza sembra ora una parola vuota per chi era già scappato dal proprio Paese nel 1984 e vi era tornato quando l’intervento della coalizione internazionale nel 2001 aveva fatto pensare che un altro Afghanistan fosse possibile. “Dopo venti anni come faccio a parlare di speranza?“, chiede. La consolazione è che in Italia si ricongiungerà con la famiglia, già tornata in precedenza

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