Royal Dutch Shell, prima compagnia petrolifera dell’occidente, risarcirà le comunità del sud della Nigeria che nel 1970 furono colpite da una fuoriuscita di greggio nel delta del fiume Niger, dove la società anglo olandese estrae greggio dal 1958 (nella stessa area operano anche Eni, a sua volta responsabile di numerosi “oilspill”). Dopo la sentenza della Corte d’Appello dell’Aja, la compagnia petrolifera ha accettato di pagare i 95 milioni che spettano a tre dei quattro querelanti e ai loro concittadini. La causa, iniziata nel 2008 da quattro contadini nigeriani insieme a Milieudefensie – filiale dell’Ong olandese Friends of Earth -, si riferisce in particolare ad un episodio di inquinamento da idrocuraburi che ha coinvolto tre località situate al delta del Niger e di cui Shell Nigeria è stata riconosciuta responsabile.

“Si tratta del risarcimento completo e finale” spiegano i legali del gruppo, siglando la fine della vicenda. Il verdetto storico dell’Aja era già stato accolto con entusiasmo dai contadini e dagli ambientalisti: per la prima volta, infatti, un tribunale internazionale ritiene una multinazionale anglo olandese responsabile per il suo duty of care, ossia il dovere di diligenza, all’estero, lanciando un segnale importante per tutte le comunità che hanno vissuto per decenni con le conseguenze dell’inquinamento petrolifero sull’ambiente e sulla salute. Solo in Niger sono milioni le persone rimaste danneggiate dall’impatto ambientale dello sfruttamento degli idrocarburi: nell’incidente nel 1970 la fuoriuscita per un quantitativo di greggio paria a 250 barili inquinò irrimediabilmente campi e vasche per i pesci dei tre villaggi sul delta del fiume. Oltre al risarcimento, la Shell dovrà anche assicurarsi di installare un sistema di rilevamento di eventuali perdite dalle condotte di greggio.

Shell era già stata protagonista di una sentenza epocale lo scorso 26 maggio quando un giudice olandese sentenziò che i termini dell’Accordo di Parigi per il contenimento dell’aumento della temperatura, vincolano direttamente anche società che sono responsabili dell’emissione di quantità significative di Co2. In quell’occasione il giudice ritenne troppo timidi gli obiettivi ambientali fissati dalla compagnia imponendone la revisione, prima volta che una sentenza interviene sul futuro e non per rimediare a danni già prodotti.

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