La situazione si è fatta improvvisamente complicata. Per uscirne ci sono soltanto due soluzioni. E sono entrambe imperfette. Parlare di sport nell’agosto del 2004 vuol dire parlare soprattutto di politica. Perché c’è una partita che è diventata un caso internazionale. In molti pensano che non debba essere giocata per rispetto. Altri che le squadre debbano scendere in campo per andare oltre le divisioni. La Farnesina sta lavorando da giorni. Così come i servizi segreti. La notizia viene diffusa il 20 agosto. Ed è molto frammentata. Enzo Baldoni è scomparso. In Iraq. E da due giorni non si hanno più sue notizie. Era volato nel cuore del conflitto per documentare una guerra spietata e sanguinosa. Teneva un diario personale online. Era corrispondente di Diario. Aveva un accordo di massima con una casa editrice importante per un libro che raccontasse l’oscenità che aveva visto con i suoi occhi. Il suo ultimo aggiornamento era stato pubblicato tre giorni prima: “Ora sono in un ospedale della Croce Rossa, col braccio al collo. Un incidente a Najaf lunedì. Niente di tragico, anzi: intorno a me i mortai sparavano, e io invece ho pensato bene di lussarmi una clavicola scaricando scatoloni di medicine“. E ancora: “Mi è andata bene anche stavolta, se penso alle scene che vedo qui, alla gente che urla col 90% del corpo ustionato, ai proiettili vaganti come zanzare. Forse mi aiuta un certo fatalismo misto all’ ottimismo”.

Enzo Baldoni è tante cose insieme. È il vertice di uno studio pubblicitario di grido, un giornalista freelance, un uomo che nel tempo libero ama infiltrarsi nelle guerre per portare un po’ di pace. Anche per questo si era accodato a una spedizione della Croce Rossa Italiana diretta a Najaf per portare aiuti ai civili che si trovavano imprigionate fra i proiettili che si sparavano addosso le milizie di Moqtada Al Sadr, i soldati dell’esercito iracheno e le truppe statunitensi. Durante il viaggio di ritorno Baldoni si è staccato dal convoglio. Ed è caduto in un’imboscata. L’hanno fermato a circa cinquanta chilometri da Bagdad. Hanno ucciso Ghareeb, il suo interprete. Mentre lui è sparito nel nulla. Di Baldoni non si sa più niente. Per giorni interi. Nessun gruppo ha rivendicato il suo rapimento. Così qualcuno ipotizza che possa essere stato sequestrato da briganti. I più realisti pensano si possa trattare di qualche gruppo armato. Il 23 agosto si accende una speranza. Ma è labile, di riflesso. Perché dopo dieci giorni di prigionia riappare Micah Green, il giornalista statunitense che era stato sequestrato nel mercato di Nassiriya. Parla ai giornali e alle televisioni. Ringrazia tutti. Nel vero senso della parola. Famigliari. Amici. Addirittura i miliziani di Moqtada Al Sadr. È una luce fioca che fende l’abisso. Ma più per esigenze di ottimismo che per possibilità reali. Lo conferma anche lo sceicco Hassan al Atharii, portavoce di Sadr a Sadr City.

“Ci siamo assunti la responsabilità del sequestro del giornalista americano Micah Garen – dice – ma non sappiamo nulla degli altri due casi. Baldoni è un nome che non mi dice niente”. La storia di Baldoni rischia di avere un finale diverso. Una paura che diventa certezza il giorno seguente. Al Jazeera manda in onda un breve filmato. Sullo sfondo, a sinistra, c’è una mappa dell’Iraq. Baldoni è in primo piano. Non ha segni evidenti di violenza, è sbarbato, indossa abiti civili. “Sono Enzo Baldoni, vengo dall’Italia, ho 56 anni, sono un giornalista, sono venuto per scrivere un libro sulla resistenza irachena, e faccio volontariato per la Croce Rossa”, dice. Sembra una boccata di ossigeno. Invece è anidride carbonica. Perché l’ultimatum arriva subito dopo. I rapitori non chiedono soldi, ma qualcosa di molto più grande. “Entro 48 ore vogliamo una dichiarazione dal governo italiano e dal suo premier Silvio Berlusconi, nemico dell’Islam, che si impegni a ritirare le truppe italiane dall’Iraq”. Se l’Italia si rifiuterà, allora Baldoni verrà ucciso. È una corsa contro il tempo. O una corsa e basta. Perché il Governo risponde in maniera netta. Dice che proverà in tutti i modi a liberare Baldoni. Ma lo farà “mantenendo gli impegni assunti con il governo provvisorio iracheno”.

Significa affermare il principio secondo cui uno Stato non può cedere al ricatto di gruppi armati. Significa condannare a morte Baldoni. A volte, però, il destino sembra seguire una traiettoria perversa. Perché l’ultimatum dei rapitori scade il giorno prima di una partita. Italia e Iraq si devono affrontare nella finale per il terzo posto del torneo di Calcio ai Giochi di Atene. È una partita che fa discutere, che spacca l’opinione pubblica e la politica. La situazione è imbarazzante. Anche perché quando gli azzurri arrivano nel loro albergo di lusso per prepararsi alla finalina, gli iracheni gli accolgono più da tifosi che da avversari. I giornalisti chiedono al loro allenatore, Majeed, di lanciare un messaggio ai sequestratori. Il mister accetta e si rivolge alla telecamera: “Spero che restituiscano la libertà a chi non ha fatto alcun male e non merita di soffrire”. La socializzazione fra i due gruppi è primitiva. Gli iracheni cercano Andrea Pirlo, il calciatore più amato a Bagdad insieme a Totti, e gli chiedono una foto. Le frasi che rivolgono agli italiani sono piuttosto semplici: “Inter good, Milan good, Baggio good”. Poi salutano e tornano nel proprio gruppo.

I giornalisti cercano di parlare con loro. Vogliono conoscere le loro storie. Ma solo se c’è di mezzo la guerra. Altrimenti ringraziano, salutano e attaccano a parlare con un altro. Non tutti hanno voglia di raccontare il proprio sfinimento, le proprie paure. Anche se i cronisti sono lì per loro. Con le loro penne in resta. Con le loro domande preconfezionate. “Per noi gli italiani non sono invasori”, dice Razaq Farhan a Repubblica. È l’attaccante fuori quota della sua nazionale. E guadagna poco più di mille dollari al mese. Una cifra comunque notevole per molti dei suoi compagni. “Iraq-Usa sarebbe stata un’altra cosa. I soldati americani non ci piacciono perché sono venuti solo per sparare alla gente, quelli italiani parlano alla gente”, dice. Il suo collega di reparto Momo Younis dribbla le domande. “Tra italiani e iracheni ci sono molti problemi, ma siamo qui solo per giocare. Noi vogliamo quella medaglia e non possiamo parlare d’altro”, taglia corto. La storia che vuole raccontare è un’altra. Nel 2000 ha fatto uno stage all’Inter. Ci è rimasto un mese intero. Poi ha salutato ed è tornato a casa. “Mi piacerebbe tornare di nuovo – dice – perché non facciamo uno scambio? Io in nerazzurro e Vieri in Iraq”. Il meno contento di questa vicinanza è Claudio Gentile. Se potesse cambierebbe albergo. E anche alla svelta. Ha paura che le storie umane degli avversari possano togliere cattiveria agli azzurri, possano diventare carta moschicida capace di inchiodare la squadra a pochi metri dall’obiettivo minimo: “L’Olimpiade è vivere a contatto con gli avversari. Anche se io la penso diversamente. L’avversario te lo devi trovare davanti solo sul campo – dice il ct – come pugili sul ring. Ma queste sono le regole“.

Poco a poco una voce inizia a mutare pelle fino a diventare notizia. Falsa. Si dice che gli azzurri avrebbero deciso di devolvere alla popolazione irachena il loro premio per un eventuale bronzo. Sono 40mila euro a testa. 720 mila euro in totale. Un mucchio di quattrini. Il capo delegazione Gabriele Gravina spiega che non c’è niente di vero. “Sarebbe un’iniziativa apprezzabile ma, sul piano sportivo, poco simpatica e anche ambigua”. Il dialogo fra l’Italia e la sua rappresentativa alle Olimpiadi è continuo. A dodici ore dalla scadenza dell’ultimatum, il ministero degli Esteri assicura che la situazione è piuttosto fluida. Lo scadere delle 48 ore spaventa relativamente. “Non dovrebbe essere un problema”, dice l’intelligence. Il ragionamento è piuttosto semplice: il termine per il rituro delle truppe è troppo imminente per poter essere vincolante. Quindi sicuramente ci sarà più tempo per un’eventuale trattativa. E poi sembra che a rapire Baldoni sia stato un gruppo di guerriglieri e non di fanatici religiosi. “È meglio trattare con un guerrigliero che non con un martire”, dicono. Si sbagliano. Di grosso.

Il 26 agosto Al Jazeera riceva un filmato. Ed è agghiacciante. Un giornalista della tv qatariota chiama il ministero degli Esteri. Annuncia che dal filmato si vede che Baldoni è stato ucciso. E che la notizia verrà annunciata un quarto d’ora più tardi. Le immagini, invece, non verranno mostrate per “rispetto alla famiglia”. Il video è comunque confuso. Verso la fine inizia una colluttazione. È l’ultimo, disperato, tentativo di reazione dell’ostaggio. Che viene ucciso con un colpo di arma da fuoco. “L’Esercito Islamico in Iraq ha annunciato di aver compiuto l’esecuzione dell’ostaggio italiano rapito in Iraq su ordine del suo legittimo tribunale”, dice un comunicato dei rapitori. “L’esecuzione risponde al rifiuto del governo italiano di ritirare i suoi soldati dall’Iraq entro 48 ore”. Un incubo che accomuna due Nazioni. E che ora fagocita i sogni di gloria degli azzurri. Il presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi parla di “barbarie“. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si dice “commosso e sdegnato”. Ad Atene qualcuno si chiede se sia il caso di giocare davvero. La morte di quel giornalista di guerra, che poi era un giornalista di pace, è una ferita aperta. Le discussioni si fanno fitte, le risposte non sono concordi. Alla fine prevale la ragion di Stato.

D’altra parte la politica ha le sue ragioni che la ragione non conosce. I vertici dello sport italiano sono irremovibili. Gli azzurri devono giocare. E devono anche farlo con un lembo di stoffa nera intorno al braccio. “Metteremo il lutto al braccio – garantisce il presidente del Coni Gianni Petrucci – Anzi, gli iracheni ci hanno garantito che lo metteranno anche loro. Noi scenderemo in campo con il lutto, per non farcelo avere ce lo devono strappare dal braccio”. La storia andrà diversamente. Perché in verità l’Iraq non scenderà in campo col lutto al braccio. “Ci dispiace per la morte del giornalista italiano ma è necessario anche pensare alle centinaia di iracheni che muoiono ogni giorno per resistere all’occupazione – dirà più tardi l’allenatore iracheno Adbnan Hamd – Sarebbe necessario indossare una fascia a lutto ogni giorno”. Anche il Comitato Olimpico si oppone. Non vuole intromissioni della politica dei Giochi. Il tira e molla dura tutta una mattinata. Alla fine la spunta il Governo. “È una situazione che speravamo non accadesse, ma in coordinamento con la Fifa e con il CIO vogliamo rispettare lo spirito olimpico e chi ha perso la vita”, dice il vicepresidente della FIGC Giancarlo Abete. Che aggiunge: “Abbiamo parlato con i giocatori e li abbiamo pregati di dare testimonianza di serietà e di rispetto anche per chi ha perso la vita”. La partita in campo dura otto minuti. Pirlo entra in area sulla sinistra, la mette in mezzo col mancino, il portiere avversario si butta dentro la rete, Giardino di testa, con i piedi dentro l’area piccola, segna il gol del definitivo 1-0. È una medaglia che non riesce a provocare gioia. “Era giusto rivolgere questo pensiero a Enzo Baldoni: il mio gol è per lui”, dice Gilardino. È lo stesso pensiero di Daniele De Rossi, che era in panchina: “La nostra reazione è stata quella di tutti gli italiani, è stata una cosa orribile. Un conto è che certe cose accadano in guerra, un conto è giustiziare una persona che era andata lì solo per fare il suo lavoro. Ne abbiamo parlato negli spogliatoi prima della partita, volevano questa medaglia anche per lui”.

L’ultima gioia olimpica del nostro calcio è una zolletta di zucchero in un mare di dolore. Tutto era iniziato a giugno del 2004. L’Italia batte 3-0 Serbia e Montenegro e diventa campione d’Europa Under 21. L’avvicinamento ai Giochi è una corsa sul terreno scosceso delle polemiche. Gentile decide di non portare Totti. E neanche Baggio. Cassano rifiuta. I fuoriquota sono Pirlo, Pelizzoli e Matteo Ferrari. Non esattamente la squadra che avevano in mente i tifosi. Il cittì chiarisce la sua posizione: “Quando parlavo di disponibilità mi riferivo appunto a questo e cioè che Totti è impegnato con il suo club e poi dovrà essere utilizzato da Lippi, mentre Cassano è atteso da un intervento“. Il numero dieci della Roma non ci sta: “Ho dato la mia totale disponibilità per le Olimpiadi – spiega – In merito alle dichiarazioni rilasciate dal selezionatore dell’Under 21 mi sono rimesso a quelle che sono state le decisioni prese dagli organi federali“. Gli altri azzurrini che partono per Atene sono Amelia, Chiellini, De Rossi, Palombo, Sculli, Moretti, Bonera, Gasbarroni, Barzagli, Bovo, Donadel, Del Nero e Mesto, il “Luis Figo di Monopoli”. Il Girone è un incubo. L’Italia vince solo una partita, contro il Giappone. All’esordio aveva pareggiato con il Ghana. Nell’ultima partita perderà contro il Paraguay. Ai quarti affronta il Mali. È un’altra sofferenza. Gli azzurri vincono 1-0. Ma solo ai supplementari, grazi e un gol di Bovo. Il migliore in campo è Pelizzoli. La semifinale contro l’Argentina è un massacro. L’Albiceleste si impone per 3-0. L’Italia non è mai in partita. “Bisogna togliersi il cappello”, afferma Sculli. L’ex commissario tecnico Cesare Maldini è più duro: “È un peccato, ma non si può certo dire che la sconfitta non sia meritata. Non c’è stata partita. Troppa differenza di classe. Non si può sperare solamente in Gilardino. Finora ha fatto cose molto buone, ma mi è parso un pochino solo”. L’Italia saluta la finale. E sarà costretta a cercare un sorriso in una giornata buia.

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