Prende il via oggi, sotto la presidenza italiana, il G20 di Napoli dedicato ad ambiente, energia e clima. Doveva essere quello del post legge europea, avviato dopo la presentazione del pacchetto clima “Fit for 55” da parte della Commissione Ue. Ed è certamente il G20 che precede la COP26, che si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre a Glasgow e che dovrebbe servire da ‘base’ per arrivare a un’intesa definitiva alla prossima conferenza Onu sul clima. La verità è che in pochi giorni è diventato il G20 che fa i conti con la realtà, dopo gli ultimi eventi estremi che hanno colpito in queste ore la Cina e, ancora prima, Germania e Austria, Canada e Stati Uniti. La giornata di apertura è dedicata all’ambiente (quindi biodiversità, aree protette, economia circolare), mentre quella di venerdì a clima ed energia. Le delegazioni stanno lavorando per produrre, al termine di ogni giornata “un comunicato condiviso tra i venti Paesi che contenga la traccia di visioni e impegni comuni”.

I PUNTI CALDI – “Abbiamo scelto di far prevalere l’ambizione – ha spiegato il ministro Roberto Cingolani – e di lavorare incessantemente a un documento comune tra tutti. Sappiamo bene che la transizione ecologica non è un pranzo di gala, ma non abbiamo alternative che lavorare insieme in un’unica direzione, senza lasciare indietro nessuno”. Nella prima giornata, la prima sessione è dedicata al ‘Capitale naturale da proteggere e gestire’ e vedrà dialogare sul tema organizzazioni scientifiche, internazionali e gruppi G20. Nella seconda, protagonista è l’economia circolare (‘Sforzi congiunti per un utilizzo sostenibile e circolare delle risorse’). A fine giornata, le conclusioni saranno affidate al ministro Cingolani, mentre verrà adottato il documento ‘Ambiente G20: verso un impegno globale’. Nell’attesa di capire se e a quali obiettivi si arriverà, c’è molta attesa per la giornata di domani. Perché i Paesi del G20 non sono d’accordo su nessuno dei dossier sul clima, dal taglio dei sussidi alle fonti fossili all’aggiornamento degli impegni di decarbonizzazione dei singoli stati, fino alla destinazione dei fondi post-pandemia al clima. E, proprio su questo fronte, non sono stati certo di buon auspicio i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), secondo cui solo il 2% degli stanziamenti globali per la ripresa post-pandemia sono destinati alle fonti rinnovabili.

IL REPORT DELL’AGENZIA PER L’ENERGIA – Secondo il ‘Sustainable Recovery Tracker’ si tratta di circa 380 miliardi di dollari. Le nuove misure varate dagli Stati a partire dall’anno scorso aggiungeranno 350 miliardi di dollari all’anno alle fonti pulite e alle reti energetiche fra il 2021 e il 2023: un aumento del 30% rispetto agli investimenti degli ultimi anni. Ma secondo i calcoli dell’Agenzia, si tratta solo del 35% di quanto necessario per arrivare a zero emissioni nel 2050. Secondo l’Iea, ci vorrebbero almeno mille miliardi all’anno. Tra l’altro, si sottolinea nel rapporto “la spesa dei governi per la ripresa sostenibile legata all’energia è stata convogliata principalmente verso programmi già esistenti”. L’Agenzia stima che la piena e tempestiva attuazione delle misure di ripresa economica annunciate finora porterebbe a una crescita delle emissioni a livelli record nel 2023, per poi continuare a salire. Questa crescita sarebbe di 3.500 milioni di tonnellate sopra il livello fissato nel recente rapporto della Iea ‘Net Zero by 2050’ uscito a maggio scorso e nel quale l’agenzia invitava ad abbandonare al più presto gli investimenti sulle fonti fossili e a passare subito alle rinnovabili, se si vogliono rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.

SEGNALI CONTRASTANTI – Intervistato dal direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, l’inviato speciale di Joe Biden per il clima, John Kerry, ha spiegato che la sua impressione è che “i singoli Paesi vogliano fare meglio nella protezione dell’ambiente e vogliano riuscirci adesso” e che “il G7 è stato un grande successo per gli impegni sottoscritti”, ossia lo stop “al finanziamento di impianti a carbone all’estero, la riduzione delle emissioni nel 2020-2030 e riduzione della crescita della temperatura terrestre a 1,5 gradi”. Ma i segnali sono contrastanti. Basti pensare all’approvazione, in Francia, della Loi Climat et Résilience avvenuta mentre associazioni e comitati ambientalisti manifestavano contro un testo privo di ambizione. “Dalla pubblicazione del rapporto dei 150 della Convention citoyenne pour le climat, fino alla votazione finale del testo all’Assemblée nationale la montagna ha partorito un topolino verde” ha denunciato Greenpeace, tra le associazioni secondo cui “questa legge non consentirà alla Francia di rispettare il percorso per una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030” obiettivo ovviamente già obsoleto rispetto al taglio del 55% previsto dalla legge europea”.

L’APPELLO DEGLI AMBIENTALISTI IN ITALIA – E sempre dalle associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Greenpeace, Kyoto Club e Transport and Environment) è partita in questi giorni la proposta, rivolta a Governo e Parlamento “per una legge quadro sul clima in Italia”, appoggiata dall’ex ministro Edo Ronchi. Le organizzazioni ambientali propongono l’istituzione di un organismo consultivo indipendente che agisca da base e supporto per le scelte politiche “per esempio proponendo il budget di carbonio totale e quelli settoriali, commisurati agli obiettivi futuri e al percorso di decarbonizzazione”. Le associazioni ritengono sia opportuno conseguire la reale neutralità climatica e la decarbonizzazione fissando degli obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, in tutti i settori dell’economia in modo da abbattere le emissioni di gas ad effetto serra. Le associazioni ripropongono “il target del 65% entro il 2030 (target fissato al 55% dal Regolamento UE) rispetto ai livelli del 1990 e centrare l’obiettivo di lungo periodo carbonio zero entro il 2040 (target fissato al 2050 dall’Ue)”.

L’EMERGENZA CLIMATICA IN ITALIA – Anche perché non occorre andare in Germania e in Cina per avere sotto gli occhi gli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo i nuovi dati aggiornati dell’Osservatorio nazionale CittàClima di Legambiente diffusi proprio oggi, nella Penisola da inizio 2021 fino a metà luglio (19 luglio), sono stati registrati 208 fenomeni meteorologici intensi: 116 sono stati i casi di allagamenti da piogge intense, 56 i danni da trombe d’aria, 3 esondazioni fluviali, 4 casi di danni da siccità prolungata, un caso di frane causate da piogge intense ed uno di danni al patrimonio storico da piogge intense. “Fenomeni meteorologici sempre più frequenti – ricorda Legambiente – e in costante crescita se si pensa che negli ultimi 12 anni, dal 2010 al 19 luglio 2021, sono stati 1.041 gli eventi estremi che hanno provocato danni nel territorio italiano con 559 Comuni dove si sono registrati eventi con impatti rilevanti, quasi il 7,1% del totale”. Notevole anche il tributo che continuiamo a pagare in termini vite umane e di feriti: 256 le persone vittime del maltempo dal 2010 ad oggi. A questo si aggiunge l’evacuazione di oltre 50mila persone a causa di eventi quali frane e alluvioni.

LE PRIORITÀ SECONDO LEGAMBIENTE – E proprio da Napoli, dove la scorsa settimana Legambiente aveva organizzato un flash mob a Castel dell’Ovo con il mega striscione ‘G20: vedi Napoli e poi muoviti!’, l’associazione ambientalista lancia un messaggio all’Esecutivo Draghi: “Servono scelte chiare e radicali a partire dallo stop ai sussidi alle fonti fossili da realizzare in pochi anni iniziando dalla prossima legge di bilancio”. Su questo stop l’Italia aveva già detto che avrebbe preso impegni seri proprio in occasione del G20 di Napoli. “Occorre anche definire al più presto un piano nazionale per l’economia circolare per far decollare nella Penisola la rivoluzione del pacchetto europeo sull’economia circolare varato nel 2018 e recepito lo scorso anno – scrive Legambiente – approvare un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) più ambizioso e in linea con i nuovi obiettivi europei e un piano nazionale di adattamento al clima di cui l’Italia continua ad essere l’unico grande Paese europeo sprovvisto, rincorrendo così le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione”. D’altronde l’Italia è scesa al 27° posto nel Climate Change Performance Index 2021, secondo il rapporto Germanwatch, per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (31°) e “una politica climatica nazionale inadeguata agli obiettivi di Parigi, peraltro non raggiunti da nessun paese” spiega il presidente, Stefano Ciafani, ricordando che il PNIEC “consente un taglio delle emissioni entro il 2030 del solo 37%, con una riduzione media annua di appena l’1,7% a partire dal 2020”.

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