Siamo campioni d’Europa. E anche di autocelebrazioni, fiumi di retorica, patriottismo un po’ troppo spicciolo. Subito dopo i calci di rigore contro l’Inghilterra e la parata decisiva di Donnarumma, immediatamente sono partiti editoriali esaltati, una propaganda italica che arriva addirittura a prospettare mirabolanti ritorni economici o a celebrare la vittoria come il risultato dell’ ”effetto Draghi” e di un’Italia nuova potenza mondiale. Se vale per l’economia o la politica, che con una partita di pallone c’entrano poco, figuriamoci per il calcio italiano. Oggi ci sentiamo i migliori: abbiamo il portiere più forte del mondo, la difesa più rocciosa, il centrocampo più fresco, il gioco più bello. Ma il nostro calcio non è guarito all’improvviso e l’errore più grande sarebbe proprio pensare che lo fosse. Il trionfo di Euro 2020 è stato un miracolo italiano. Non un caso, sarebbe ingeneroso definirlo così, nei confronti di Mancini che ha fatto un lavoro straordinario e dei ragazzi che lo hanno seguito. La vittoria contro l’Inghilterra, e complessivamente per quanto visto nel corso del torneo, è meritata. Però è l’exploit di questo gruppo e non del movimento che c’è dietro, che invece continua a produrre poco o nulla nel suo complesso.

Oggi, come ieri, il calcio italiano è sempre lo stesso. È il calcio con una Lega di presidenti che litigano, si insultano, fanno riunioni carbonare per tramarsi alle spalle, ma alla fine pensano solo a incassare i soldi dei diritti tv, con una totale miopia e assenza di progettualità a lungo termine. È il calcio con una Serie A con 4 miliardi di debiti, che da anni va avanti a colpi di plusvalenze farlocche, dove persino i campioni d’Italia sono costretti a ridimensionare, la Juve non è messa meglio e le realtà sane si contano sulle dita di un mano. È il calcio che nel 2021 non ha qualificato nemmeno un club ai quarti di Champions League. È il calcio che arriva alla scadenza delle iscrizioni al campionato con la Salernitana in bilico per la multiproprietà di Lotito, un equivoco spiacevole che non era mai stato sciolto (e non lo è nemmeno ora del tutto con il trust). È il calcio dove le squadre continuano a sparire silenziosamente, anche quest’estate sei club bocciati dalla Covisoc, fra cui il vecchio Chievo che da tempo non è più dei miracoli (ora si attendono i ricorsi).

È il calcio che da un decennio non riesce ad approvare uno straccio di riforma, a partire da quella dei campionati, per veti incrociati ed interessi di bottega: ora ci prova il presidente Gravina e non si può dire che non si stia impegnando, però siamo sempre in attesa di risultati. Soprattutto, è il calcio che non dà spazio ai suoi giovani, ed è un movimento che produce sempre meno qualità, con una Under 21 (la nazionale del futuro) sprofondata da anni nella mediocrità: all’orizzonte non c’è neanche un vero talento, possiamo solo sperare nel recupero di Kean e Zaniolo, e questa penuria è ancora più deprimente se paragonata all’abbondanza delle altre grandi d’Europa, come Francia, o Inghilterra, che magari a questo giro abbiamo anche battuto ma non certo perché il nostro calcio fosse migliore del loro. Insomma, il calcio italiano non è cambiato per la vittoria agli Europei. Semmai, la speranza è che possa cambiare anche grazie a questa vittoria agli Europei. Che Euro 2020 dia slancio al movimento, forza ai vertici per approvare le riforme di cui si parla da anni, entusiasmo ai ragazzi per la nascita di nuovi talenti di cui abbiamo un grande bisogno. E che diventi invece solo una foglia di fico per dimenticarci di tutti i nostri problemi.

Twitter: @lVendemiale

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