di Sara Gandini (epidemiologa biostatistica, Milano) e Francesca Capelli (sociologa, Buenos Aires)

In piena emergenza Covid-19, hanno sgomberato una famiglia con un bambino di 14 mesi che viveva in quella casa del quartiere Giambellino di Milano dal 2019. Li hanno lasciati in strada per giorni a dormire sulle scale comuni delle cantine del caseggiato. Nell’appartamento chiuso hanno dovuto lasciare le poche cose che gli hanno tolto insieme alla casa: documenti, vestiti, il lettino del bambino, i pannolini e gli omogeneizzati.

Agli antipodi, in una favela di Buenos Aires, Brian, Walter, Yesica e Janina hanno saltato completamente il primo anno della scuola primaria e ora, a quasi 8 anni, non sono ancora in grado di riconoscere lettere e numeri.

Ed ecco allora che il Covid mescola e confonde i piani di legalità, responsabilità e morale. Che cos’è più morale, in un quartiere povero di qualsiasi città del mondo durante il lockdown? Per qualcuno, la risposta è restare asserragliati in casa, come prescrivono la legge e l’hashtag #iorestoacasa, primo comandamento della religione planetaria di Facebook. Per altri è organizzare una scuola di strada. È più responsabile che una madre rinunci al lavoro (anzi, smart work), per permettere al suo bambino di usare il suo computer per i meet con la scuola, o che sacrifichi l’educazione del figlio per non fare mancare al reddito della famiglia il proprio apporto? Apporto che, in molti casi, è l’unico.

Perché se non si ha un lavoro, se non si ha di che comprarsi da mangiare, come si fa a stare in salute? Se non si ha una casa, dove si può fare la quarantena? Se la casa è composta da un mono/bilocale o non ha un accesso a Internet come fanno i figli a fare la didattica a distanza? Se avremo una crisi economica pesantissima, come pagheremo la sanità pubblica?

La risposta che diamo a queste domande, forse, è la misura del tipo di società che abbiamo costruito e di quella che potremmo costruire.

C’è chi ha pagato in modo sproporzionato le conseguenze delle misure di contenimento del virus, senza averne ottenuto alcun vantaggio. Sono le classi popolari di ogni latitudine, quelle che non hanno risparmi perché il basso reddito se ne va tutto in consumi primari, quelle non tutelate dai blocchi dei licenziamenti perché lavorano in nero e che, per lo stesso motivo, sono impossibilitate a chiedere sussidi di disoccupazione. Sono le famiglie povere intrappolate in case affollate e insalubri, dove l’areazione e il distanziamento sono impossibili e dove i contagi vengono favoriti anziché evitati. Sono i bambini che sono stati privati della scuola (in presenza e a distanza) per un anno intero, a causa delle difficoltà di accesso a dispositivi elettronici e connessione Internet. Sono le donne (non solo quelle in difficoltà economica) che hanno rinunciato a un lavoro per dedicarsi alla cura dei figli piccoli rimasti a casa da scuola, per esempio bimbi di 6-7 in difficoltà nel seguire da soli le lezioni a distanza.

Non a caso, per Covid-19 sarebbe più appropriato, al posto del termine “pandemia”, quello di “sindemia”, come ha scritto Richard Horton nel suo editoriale su The Lancet di cui è caporedattore A differenza della pandemia, che indica il diffondersi di un agente infettivo in grado di colpire più o meno indistintamente con la stessa gravità chiunque, parlare di sindemia vuol dire tenere in conto della interazione tra Covid-19, malattie non trasmissibili e condizioni socio-economiche. Horton avverte che se tutti gli interventi si concentrano solo sul limitare il contagio e la diffusione del virus, finiamo col dimenticare che le misure restrittive a lungo termine possono aumentare le diseguaglianze sociali e creare un vero e proprio circolo vizioso che riduce i redditi già bassi e peggiora le condizioni di vita delle classi sociali più in difficoltà, di fatto aumentando la mortalità.

Ora si parla tanto della necessità di vaccinare anche i bambini ma, prima di preoccuparci che si ammalino per Covid-19, perché come sappiamo succede assai raramente *, è fondamentale ricordare che l’impatto delle misure di contenimento sulla salute infantile è stato ed è devastante: 200.000 ulteriori casi di bambini nati morti potrebbero verificarsi nel corso di un anno per il minore accesso delle donne ai servizi di salute materna ed ed è stato stimato un aumento di 10.000 morti infantili aggiuntive al mese per malnutrizione acuta nel corso di un anno di pandemia. Nei paesi in via di sviluppo, si prevede un aumento del 15% della povertà infantile, con ulteriori 142 milioni di bambini che si ritroveranno in famiglie al di sotto della soglia di povertà (dati Unicef).

In Italia la situazione non è diversa: nel 2020 siamo arrivati a 5,6 milioni di persone sotto la soglia della povertà assoluta: quasi il 10%, in netto aumento rispetto all’anno prima, quando erano il 7,7%. Dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne, di ogni livello socio-economico (Istat, Nature).

Ecco, noi insistiamo che nel valutare le emergenze ci vuole meno miopia e meno ipocrisia. “La romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe” stava scritto su un lenzuolo appeso ad un balcone di Madrid. Perché se è vero che siamo nella stessa tempesta, certamente non stiamo tutti sulla stessa barca.

* Considerando gli Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Germania, Spagna, Francia e Corea del Sud, i decessi per COVID-19 nei bambini sono rimasti rari fino al febbraio 2021, a 0-17 per 100 000 abitanti, comprendendo lo 0-48% della mortalità totale stimata per tutte le cause in un anno normale

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