La battaglia per l’eutanasia legale è iniziata 37 anni fa. Quasi quattro decenni tra proposte di legge, sentenze, appelli che il Parlamento ha lasciato cadere nel vuoto, testi depositati per togliere (anziché dare) libertà ai malati terminali. La politica non è solo rimasta a guardare, ma spesso e volentieri ha remato contro. A mantenere vivo il dibattito ci sono volute le storie di sofferenza e la disobbedienza civile. Eppure il Parlamento è riuscito a voltarsi dall’altra parte, più e più volte, finanche venendo meno alle richieste della Corte costituzionale di colmare il vuoto normativo sul suicidio assistito. Ancora oggi solo in minima parte riempito da una storica sentenza della stessa Consulta. C’è tutto questo dietro la scelta dell’Associazione Luca Coscioni di scendere in piazza e raccogliere le firme per un referendum “affinché i cittadini possano scegliere tra l’eutanasia clandestina che c’è già, come ricordava Umberto Veronesi, e l’eutanasia legale” ha ricordato Marco Cappato, esponente dei Radicali e tesoriere dell’associazione, in occasione dell’avvio della raccolta firme a Milano (qui il sito ufficiale con le informazioni per diventare autenticatori e attivisti). È l’ultima chiamata per questa legislatura. Dato che non si possono depositare referendum nell’anno precedente alla scadenza elettorale, c’è tempo fino al 30 settembre, altrimenti “bisognerà aspettare almeno cinque anni per la prossima legislatura e un’approvazione della legge”.

LA PRIMA PROPOSTA DI LEGGE NEL 1984 – Altri cinque anni aggiunti agli oltre quaranta dalla prima raccolta di firme del 1979 e dalla proposta di legge depositata nel 1984 dall’ex ministro Loris Fortuna, padre della legge del divorzio, che chiedeva norme sulla tutela della dignità del malato e la disciplina dell’eutanasia passiva. Morì l’anno dopo. In quelli a seguire, furono depositate altre proposte simili senza che in Parlamento ne discutesse. Nel 2001 Piergiorgio Welby, affetto da anni da distrofia muscolare, riaccese il dibattito sul forum dei Radicali Italiani, che poi continuò sul suo blog, ‘Il Calibano’. Nel 2002 nacque l’Associazione Luca Coscioni, di cui Welby fu presidente e attraverso la quale lanciò appelli a politici e magistrati. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma dichiarò inammissibile la richiesta dei suoi legali di porre fine all’accanimento terapeutico e lui chiese aiuto al medico Mario Riccio, che staccò il respiratore mentre Welby era sotto sedazione, affrontò il processo e venne assolto dall’accusa di omicidio del consenziente (articolo 579 del codice penale). La politica si girò dall’altra parte.

IL CASO ENGLARO E LA POLITICA DELL’ANTI-LIBERTÀ – Nel 2009, il caso di Eluana Englaro, rimasta in stato vegetativo per 17 anni dopo un incidente stradale avvenuto nel 1992, quando ne aveva 21. Dopo una lunga battaglia legale condotta dal papà, Beppino Englaro, a ottobre 2007 una sentenza della I sezione civile della Cassazione, presieduta da Gabriella Luccioli, aveva permesso alla Corte d’Appello di Milano di autorizzare lo stop a idratazione e alimentazione forzata. A ilfattoquotidiano.it il giudice ha raccontato che i mesi che seguirono furono “un momento oscuro della politica” che intraprese “una ossessiva rincorsa a impedire che una sentenza legittimamente emessa venisse eseguita”. Altro che proposte di legge. Ci fu il conflitto di attribuzione promosso dai due rami del Parlamento, che la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile e fu presentato un ricorso a Strasburgo (rigettato). L’allora ministro della Salute, Maurizio Sacconi inviò un atto di indirizzo alle Regioni per vietare alle strutture sanitarie l’interruzione di idratazione e alimentazione forzata. La Lombardia si rifiutò di dare attuazione alla sentenza nelle strutture regionali, dopo un provvedimento dell’ex governatore Roberto Formigoni. Eluana Englaro dovette andare in Friuli e mentre veniva portata a Udine, il governo Berlusconi preparò un decreto legge, vietando la sospensione dell’alimentazione assistita a pazienti non in grado di nutrirsi da soli. Il presidente Giorgio Napolitano si rifiutò di firmarlo perché incostituzionale. Berlusconi si disse pronto a cambiare la Costituzione e arrivò a sostenere che Eluana era una persona viva e avrebbe anche potuto “avere un figlio”. Il Senato si riunì in fretta e furia per varare un disegno di legge, praticamente uguale a quello del decreto legge bocciato. La notizia della morte di Eluana arrivò in Aula il 7 febbraio 2009 e a Palazzo Madama fu bagarre.

LA PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE – Dopo altri anni di silenzio e disinteresse della politica, nel 2013 è stata presentata la campagna ‘Eutanasia Legale’ e, dopo 6 mesi di raccolta firme (oggi arrivate a 140mila), il 13 settembre Radicali Italiani, Associazione Coscioni e altre organizzazioni hanno depositato una proposta di legge popolare per la legalizzazione dell’eutanasia. Quattro articoli che dovevano solo aprire il dibattito per arrivare a una normativa. È stata prima abbinata ad altri due testi presentati da Sel e da Eleonora Bechis di Alternativa Libera. Il dibattito è iniziato a marzo 2016, ma non è mai arrivato al voto, mentre a piccoli passi andava avanti (anche grazie all’intergruppo parlamentare fondato da Marco Cappato e formato da 240 deputati e senatori) la discussione sul testamento biologico, diventato legge (la 219) a dicembre 2017. Il Parlamento ha riconosciuto il diritto a interrompere terapie vitali e a esprimere indicazioni vincolanti con la Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat). Il testo ha superato due degli articoli della proposta di legge popolare.

IL CASO DI DJ FABO E LA RICHIESTA DELLA CONSULTA – A dare un’accelerazione la storia del 40enne milanese Fabiano Antoniani, dj Fabo, diventato ceco e tetraplegico in seguito a un incidente avvenuto nel 2014. Dopo aver lanciato invano un appello al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, perché si discutesse la proposta di legge, ha deciso di ottenere clandestinamente l’assistenza alla morte volontaria in Svizzera, chiedendo a Cappato di accompagnarlo. È morto il 27 febbraio 2017. Al suo rientro in Italia, l’attivista si è autodenunciato e ha affrontato il processo, nel corso del quale la Corte di Assise di Milano ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (istigazione e aiuto al suicidio). A ottobre 2018, la Consulta ha sospeso la sua decisione, rinviandola al 24 settembre 2019 e invitando il Parlamento a legiferare. Per il presidente della Camera, Roberto Fico “una grande opportunità”. Che non è stata colta. Matteo Mantero, senatore M5S, ha subito depositato un disegno di legge al quale hanno aderito Pd e Forza Italia (non la Lega) e un altro testo a luglio 2019, ma a Palazzo Madama la discussione non è mai partita.

LE PROPOSTE DI LEGGE DEPOSITATE – Alla Camera è iniziata a gennaio 2019, tre mesi dopo il sollecito della Consulta. Sono state presentate diverse proposte, ma non un testo condiviso. A febbraio 2019 è stato depositato quello firmato dall’ex M5S Andrea Cecconi (ora federazione dei Verdi). Prevedeva 5 requisiti per poter avere l’eutanasia. La richiesta di un paziente maggiorenne, informato su prospettive di vita, terapie e cure palliative, con insopportabili sofferenze fisiche o psichiche e prognosi infausta inferiore ai 18 mesi. Si modificava la legge 219/2017 sul testamento biologico (esponendola a emendamenti), senza creare una nuova normativa. Stesso discorso per quello presentato a marzo da Michela Rostan e Federico Conte, sottoscritto da altri deputati di Leu, meno completo, ma senza il requisito della prognosi infausta inferiore ai 18 mesi. Il 30 maggio è stata la volta della proposta dei deputati del M5s (primi firmatari Doriana Sarli e Giorgio Trizzino), una normativa completa e autonoma rispetto alla 219/2017, la più aderente alle indicazioni della Consulta. Ma il 5 giugno è stata depositata la proposta della Lega, firmata dall’ex alfaniano Alessandro Pagano e da Roberto Turri. Nessuna penalizzazione (mentre la Corte Costituzionale aveva chiesto che questa possibilità venisse prevista in alcuni casi), mantenendo il reato di aiuto al suicidio con pena dai 5 ai 12 anni (rischiata da Cappato) e dai 6 mesi ai 2 anni se è il convivente ad aiutare la persona malata a morire e se quest’ultima è tenuta in vita da strumenti di sostegno vitale. In più, modifiche alla legge sulle Dat, con l’introduzione della nutrizione e dell’idratazione artificiali forzate e dell’albo dei medici obiettori. Le commissioni Giustizia e Affari sociali riunite non hanno trovato un’intesa.

L’ULTIMA OCCASIONE PERSAA fine luglio 2019, l’ultima fumata nera. Dopo l’ennesimo rinvio, la discussione non è stata neppure più calendarizzata, nonostante fosse quasi scaduto il tempo concesso dalla Consulta. A nulla sono valse le sollecitazioni dell’Associazione Coscioni ai politici. Il 24 settembre è stata la Corte Costituzionale a decidere che non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. L’applicazione del diritto anche a persone non attaccate a macchinari è stato sancito dalla Corte d’Assise di Massa. Il 23 dicembre 2019 la Corte d’Assise di Milano ha definitivamente assolto Marco Cappato, perché il fatto non sussiste. Ma una legge ancora non c’è. A marzo scorso l’ultima proposta presentata dalla deputata M5s Gilda Sportiello, che sta seguendo l’iter legislativo in commissione. Finora tre giri di lunghe audizioni, l’ultima dopo il deposito di un testo base. Ma la prospettiva dell’approvazione di una legge ancora non c’è.

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