Parola d’ordine: preparazione. La Gran Bretagna -il primo paese ad aver dovuto affrontare le conseguenze della variante Delta – si sta preparando ad affrontare il futuro con la creazione di nuovi vaccini efficaci contro le varianti. L’era dei vaccini di nuova generazione dunque è già cominciata. Ad Oxford. Dopo aver sviluppato il primo vaccino “domestico”, Vaxzevria, il prestigioso ateneo e la compagnia farmaceutica AstraZeneca hanno avviato ieri la sperimentazione clinica di un nuovo vaccino denominato AZD2816 ideato per proteggerci contro una delle varianti del Covid-19 che destano preoccupazione, ovvero la B.1.351 conosciuta come Beta ed identificata per la prima volta in Sudafrica.

AZD2816 è stato ideato usando lo stesso vettore adenovirale sviluppato dall’Università di Oxford a cui sono state inserite alcune alterazioni genetiche della proteina spike per la variante Beta, quella che “riesce ad evadere l’immunità dei vaccini” come spiega il professor Andrew Pollard, direttore dell’Oxford vaccine group di Oxford che sta sperimentando il nuovo composto. Al momento i ricercatori inglesi sono piuttosto sicuri che le altre varianti, a partire dalla famigerata Delta, rispondano bene ai vaccini che già conosciamo. Ma in futuro non si sa mai. “Abbiamo bisogno di testare il sistema di sperimentazione per scoprire e produrre nuovi vaccini velocemente in caso emergano nuove varianti problematiche. Al momento i vaccini ideati sul ceppo originario del virus sono efficaci nel prevenire i ricoveri ma è importante stare al passo con la pandemia ed essere preparati ad intervenire con nuovi preparati se saranno necessari” spiega Pollard che in una conferenza stampa delle 8 del mattino insieme alla professoressa Teresa Lambe, ha presentato nuovi dati sulla nostra risposta immunitaria al SARS-CoV-2.

Il nuovo studio dell’Università di Oxford condotto su 35 partecipanti ha rivelato che il ritardare la somministrazione della seconda dose del vaccino Oxford AstraZeneca fino a 45 settimane favorisce un aumento della risposta immunitaria. Mentre una terza iniezione del vaccino AZ in 90 pazienti sotto i 55 anni, somministrata oltre 6 mesi dal secondo richiamo, ha consentito di misurare un incremento sostanziale degli anticorpi e una forte risposta immunitaria dei Linfociti T sia contro il virus originario che contro le sue varianti.

Andiamo più a fondo. Cosa significano i dati del vostro studio? “Il nostro studio rivela che gli anticorpi contro il coronavirus indotti dalla prima dose del vaccino Oxford AstraZeneca restano alti per almeno un anno. I dati mostrano che la risposta immunitaria è eccellente anche se il richiamo è somministrato con un ritardo di 10 mesi dalla prima dose. Questa è una notizia rassicurante per i paesi del mondo che hanno meno disponibilità di vaccini – spiega Pollard La nuova priorità ora può essere dunque fare in modo che le prime dosi dei vaccini raggiungano le braccia delle persone più vulnerabili in tutto il mondo, le secondo e terze dosi possono aspettare. Ma una buona notizia anche per i paesi che hanno la disponibilità di sieri e stanno di considerando di effettuare un terzo richiamo. Come spiega la professoressa Teresa Lambe, autrice dello studio: “Abbiamo osservato che una terza dose di ChAdOx1 nCoV-19 ( il vaccino originario di AstraZeneca) è tollerata nei pazienti, e accresce in modo significativo la risposta immunitaria. Anche i dati sui linfociti T mostrano un risposta relativamente forte e questo anche sei mesi dopo la prima dose. Questi sono dati incoraggianti perché l’immunità decresce ancora più lentamente dopo le due dosi di AstraZeneca”.

Dunque non avremo bisogno di un terzo richiamo in autunno? Secondo il professor Pollard due dosi dei vaccini esistenti sono sufficienti a prevenire oltre il 90% dei ricoveri. “È difficile dire se una terza dose possa far aumentare questa percentuale ma al momento non credo che abbiamo evidenza scientifica per sostenerlo. Per decidere se introdurre o meno un terzo richiamo dobbiamo continuare ad osservare i dati. Sappiamo che anche se i livelli di immunità nel nostro sangue si affievoliscono col tempo, il nostro sistema immunitario è intelligente e si ricorda che siamo stati vaccinati e quindi ci offre protezione – spiega Pollard – I terzi richiami sono più un’eventualità in caso perdessimo la protezione contro il coronavirus. Non sappiamo ancora se e come questo avvenga, ma ora abbiamo una risposta: in questo caso una terza iniezione del vaccino originario di AstraZeneca ci consentirà di rafforzare le nostre protezioni. In cosa consiste la sperimentazione del vaccino contro la variante Beta? AstraZeneca condurrà e finanzierà le fasi II/III della sperimentazione clinica di questo nuovo vaccino su circa 2250 volontari che saranno reclutati in Gran Bretagna, Sudafrica, Brasile e Polonia. I volontari precedentemente immunizzati con le due dosi del vaccino originario di AstraZeneca o un vaccino mRNA, saranno studiati almeno tre mesi dopo la loro ultima dose. I soggetti non ancora vaccinati riceveranno due dosi del nuovo AZD2816 con un intervallo di 4 o 12 settimane mentre chi ha già ricevuto la prima dose del vaccino originario sarà immunizzato con la seconda dose del nuovo vaccino a distanza di 4 settimane. Lo studio randomizzato in cui i partecipanti riceveranno una dose del vaccino originario o di quello ideato contro la variante Beta, cercherà di individuare quanti anticorpi vengono prodotti e quale sia il livello di anticorpi in grado di neutralizzare il virus. I risultati sono attesi a fine anno.

Articolo Precedente

Onde gravitazionali, così due buchi neri hanno mangiato stelle più grandi del nostro Sole

next
Articolo Successivo

Johnson&Johnson: “Il nostro vaccino monodose efficace contro la variante Delta e dà immunità per otto mesi”

next