Politici, servitori dello stato, giornalisti, enti di controllo. E un fiume di denaro e di favori. Ecco la ricetta perfetta del potere in Sicilia. La cosa che, più di tutte, caratterizza le grandi inchieste sulla corruzione in Sicilia è constatare come, alla fine, si assomiglino un po’ tutte. Montante, gli affari nel ciclo dei rifiuti e la gestione dell’acqua ad Agrigento sono storie simili, in cui cambiano i nomi dei protagonisti ma non le modalità. Un bestiario di miserie umane e professionali in cui, stando all’atto d’accusa, per comprarsi i favori di un capostazione dei carabinieri occorreva poco meno di un piatto di lenticchie.

Questa è la prima cosa che colpisce, in effetti. A fronte di affari per milioni di euro il corrispettivo “pagato” dagli imprenditori sotto accusa ammonta a posti di lavoro, spesso a tempo determinato, per poche centinaia di euro. Un’ulteriore dimostrazione – lo scrive anche la procura di Agrigento – del contesto di estremo sottosviluppo economico di intere zone della Sicilia.

Con quei posti di lavoro vengono comprati i favori più disparati. Carabinieri, giornalisti, politici pronti a mettersi a disposizione.

Dalle carte della vicenda di Girgenti Acque viene fuori, quindi, uno spaccato preciso – quasi antropologico – del meccanismo del potere. Economico e politico. Ed è la lettura più interessante, che supera anche la vicenda giudiziaria in sé. E che meriterebbe un’analisi, da parte della politica, molto diversa dalla semplice frase di circostanza sulla fiducia nella magistratura e sul cancro della corruzione. Scorciatoie sempre valide per sfuggire alle proprie responsabilità. Esattamente come per la vicenda Montante da cui, stando alle ultime dichiarazioni del fu eroe dell’antimafia, fino al giorno prima dell’arresto e già con una pesante accusa, andavano in pellegrinaggio esponenti politici e, sostiene Montante, anche l’attuale presidente della regione per chiedere consigli e pareri.

Girgenti Acque, invece, non è un problema di ordine giudiziario. È una questione tutta politica. Non solo per i nomi dei politici finiti dentro l’inchiesta, ma per la modalità con cui Campione (il dominus del sistema) è riuscito a costruire una rete di favori e relazioni a proprio uso e consumo. Sfruttando le falle del sistema, falle ancora tutte aperte visto che a 10 anni dal referendum che ha sancito il no al processo di privatizzazione della gestione del servizio idrico, ancora interi territori della Sicilia vedono i privati farla da padroni. E sfruttando – sempre leggendo l’atto d’accusa – una rete estesa di favori e disponibilità che non hanno risparmiato nessuno.

Una rete forte, potente. Tanto da provare a isolare chiunque muovesse un appunto o avanzasse un dubbio. Con minacce non velate. Un potere, quindi, che si sentiva inattaccabile. Capace di minacciare sindaci e di isolare financo la voce del vescovo di Agrigento, tra i pochi a tuonare contro la gestione privata dell’acqua nell’agrigentino.

Ed è qui, su questo punto, che occorre davvero una presa di coscienza. Perché quei posti di lavoro, preziosa merce di scambio, venivano pagati con il servizio più inadeguato e più caro d’Italia. Il tutto tramite tariffe aumentate arbitrariamente con il beneplacito di chi, su quelle tariffe, doveva vigilare. E con un sistema di depurazione che, semplicemente, non esisteva se non sulla carta.

In questa storia, però, occorre anche evidenziare alcuni nomi di uomini e donne normali che hanno svolto con onore il proprio ruolo. Amministratori e politici, giornalisti e sindacalisti che meriterebbero di poter contare su un sistema che davvero sappia premiare chi non si è piegato al ricatto o, semplicemente, non ha voluto girare la testa dall’altro lato per quieto vivere. Ed esattamente come trasversale pare essere il sistema costruito da Campione, trasversali sono questi protagonisti positivi. Che vale la pena, credo, menzionare. I comitati per o difesa dell’acqua pubblica che non hanno mai smesso di richiamare l’attenzione sul tema della pubblicizzazione delle risorse idriche e di denunciare lo stato del servizio di depurazione, esponenti politici della sinistra e dei 5 stelle ma anche la sindaca e deputata Margherita La Rocca Ruvolo o la presidente – di destra – della commissione ambiente dell’Ars Savarino.

E giornalisti, come la direttrice del giornale della curia di Agrigento, Marilisa Della Monica che, mentre altri colleghi si affrettavano a fare da cassa di risonanza alle esigenze del gruppo Campione, non ha mai rinunciato al suo dovere di informare correttamente la cittadinanza e di raccogliere le denunce sul sistema che oggi viene posto sul banco degli imputati dalla procura di Agrigento.

Uomini e donne che non si sono prestati alla compravendita. E a cui dovremmo davvero dire grazie. A prescindere dall’esito giudiziario di questa inchiesta. Uguale a tante altre che oggi agitano la Sicilia, dove il potere economico si costruisce non con capacità di impresa ma con istituzioni messe, compiacenti, a libro paga.

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