di Andrea Di Leo*

Premessa: la questione dell’abusivismo edilizio non può essere sottovalutata. Tuttavia il dibattito sul Superbonus, così come quello, da venire, sulla riforma del Testo Unico Edilizia, dovrebbe liberarsi da posizioni che, sia consentito, trasformano la realtà nella hegeliana “notte nera delle vacche nere”.

Secondo qualcuno il Decreto Semplificazioni (d.l. n.77/2021) avrebbe introdotto, sotto le mentite spoglie di semplificazione del Superbonus, un condono edilizio “di fatto”. Tale affermazione non è tecnicamente corretta. La modifica dell’art. 119 d.l. n.34/2020 affronta (maldestramente) un problema serio: quello della “non regolarità del patrimonio edilizio”, all’interno del quale, però, troviamo una varietà di situazioni che non è corretto considerare tutte nella stessa maniera.

Abbiamo fabbricati, legittimamente realizzati decine di anni fa, con variazioni quantitativamente significative ma non incidenti sull’assetto del territorio (esempio consueto sono i balconi non previsti dal progetto, la distribuzione delle finestre difforme dal progetto, “qualche metro-quadro” ad appartamento in più, e così via). Incontriamo, poi, abusi più o meno recenti (chiusure di balconi, verande irregolari, et similia) e, infine, fabbricati completamente – o in grandissima parte – abusivi e in contrasto con la pianificazione urbanistica. Della prima categoria di “abusi” sono affetti anche gli immobili più insospettabili, magari costituenti edilizia “storica” dei nostri centri urbani.

Tuttavia, l’attuale legislazione (D.P.R. n.380/01) non ne consente pressoché mai la regolarizzazione (si pensi, a titolo di esempio, che l’unica tolleranza riconosciuta dalla Legge è il 2% della superficie di ciascun appartamento: tutto ciò che è oltre è “abuso edilizio”). A fronte di tale rigidità normativa si è prodotta l’assimilazione delle ipotesi più fisiologiche e non impattanti sull’assetto del territorio alle ipotesi più patologiche (in primis i fabbricati sorti abusivamente).

È su questo problema che si è “incartato” il Legislatore che, infatti, non dovrebbe ammettere a benefici fiscali immobili “non regolari”. Il punto, ad avviso di chi scrive, è che anziché cercare una soluzione a monte (la razionalizzazione delle procedure di sanatoria, con una più ragionevole distinzione tra le varie ipotesi prima sommariamente ricordate) è stata introdotta una “toppa” a valle, con una norma per certi aspetti paradossale, la quale consente di mantenere il beneficio fiscale anche laddove sia poi accertata la presenza di un abuso. Ciò per evitare la paralisi del Superbonus, finalizzato al recupero, all’efficientamento, alla messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente. Davvero qualcuno crede abbia senso ostacolare interventi del genere in presenza di difformità realizzative, risalenti a svariati anni fa, che in nessun modo arrecano un pregiudizio alla tutela del territorio?

Ma non è vero che si tratta di un “condono mascherato”. La norma è chiarissima nel prevedere che “resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile”: dunque, non solo non è derogata alcuna norma in materia di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, ma addirittura la presentazione della pratica (Cila) ben potrebbe costituire, essa stessa, presupposto affinché gli Uffici tecnici comunali, svolgendo le doverose verifiche, avviino procedimenti sanzionatori. Procedimenti inevitabili, poiché, per principio giurisprudenziale consolidatissimo (e non scalfito dal d.l. n.77/2021) la realizzazione di qualunque intervento su immobili irregolari è, essa stessa, un’opera abusiva.

E, ancora, la prospettiva che qualche Tar possa valorizzare la nuova norma per annullare provvedimenti dovuti e vincolati (quali sono e continuano ad essere gli ordini di demolizione a fronte di situazioni di irregolarità edilizia) appare, francamente, per nulla realistica (e chi frequenta le aule dei Tar o dei tribunali penali sa bene quanto poco propensa sia la magistratura a tollerare “abusi edilizi”). Non è vero, ancora, che sarà possibile presentare la Cila Superbonus per fabbricati del tutto privi di titolo, bastando la mera dichiarazione che l’immobile è stato realizzato prima del 1967: tale affermazione dovrà essere veritiera (ma è pur vero che è da regolare con più attenzione il tema dell’edilizia risalente a tale epoca).

Resta sullo sfondo, dunque, la riforma del T.U. Edilizia: andrà razionalizzata (senza pregiudizi) la disciplina delle sanatorie, evitando la “notte nera delle vacche nere”.

*Avvocato amministrativista, co-founder Studio Legal Team

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