“All’estero se vali non si manifestano atteggiamenti di superiorità e, sostanzialmente, si guadagna il doppio rispetto all’Italia”. Marco Fortino, 34 anni, è nato a Cosenza e cresciuto a Casali del Manco, in Calabria. Terzo di tre fratelli, di cui due “figli del mondo”, come ama definirli la mamma, è andato via appena preso il diploma. Ora vive e lavora a Barcellona. Per lui il problema principale dell’Italia è la mancanza di talenti stranieri: “Non si ha l’opportunità di confrontarsi, crescere con colleghi di diverse nazionalità”, racconta.

Marco ha trascorso i suoi ultimi dieci anni all’estero, tra Irlanda e Spagna, lavorando in grandi aziende e società hi-tech dopo la laurea in Marketing Management alla Staffordshire University e il master in Business Administration, ottenuto alla Bologna Business School. Da un anno è entrato in una startup israeliana con sede a Barcellona, che opera in ambito sanitario. Mare, clima, cultura, internazionalità e opportunità di ogni genere “sono le caratteristiche principali che meglio descrivono la città” e che “la rendono tra le più belle al mondo nelle quali vivere”, spiega al fatto.it.

La pandemia in Spagna ha inciso sull’aspetto economico e socio-culturale del Paese, portando modifiche sostanziali nello stile di vita, sulla metodologia lavorativa e “sui processi, più che sullo sviluppo della carriera”. “Qui – continua – viene lasciato al dipendente la completa facoltà di decidere se lavorare dall’ufficio o da casa”.

Marco lavora nell’area sviluppo business e si occupa dell’internazionalizzazione del brand. Ogni mattina incontra il suo team per pianificare le attività della giornata e i risultati attesi. “I contatti con i colleghi sono frequenti: alla base di tutto c’è una profonda conoscenza tra i membri del team, dovuta a incontri sistematici, sia in orario lavorativo che extra, promossi anche dall’azienda, con l’obiettivo di creare gruppi di lavoro connessi”. In una startup le responsabilità sono “molte di più” rispetto a quelle che si hanno lavorando in una grande compagnia. L’azienda ha la necessità di “crescere rapidamente per garantire sempre nuove risorse, necessarie alla sostenibilità e al successo del progetto”. Servono “creatività e innovazione, gli ambienti sono stimolanti. Le decisioni sono molto più rapide e si ha sempre l’opportunità di lavorare con i fondatori”.

Per Marco sono diverse le differenze nel mondo del lavoro rispetto all’Italia. “All’estero la crescita professionale è più rapida. Se hai costruito le tue competenze attraverso studio ed esperienze, ti vengono tutte riconosciute. I rapporti tra le figure professionali, anche se a livello gerarchico sono su livelli diversi, sono paritari e non ci sono atteggiamenti di superiorità”. La principale differenza sta poi nella mancanza di talenti stranieri. “Nei Paesi e nelle aziende in cui ho lavorato ho l’opportunità di confrontarmi quotidianamente con colleghi di diverse nazionalità. Questo mi porta a vedere, conoscere, applicare e testare nuove metodologie, ascoltare punti di vista completamente differenti, arricchire le mie conoscenze professionali e personali”.

Anche i guadagni, spiega Marco, sono sensibilmente più alti. A questo va aggiunto un sistema fiscale più vantaggioso, che migliora ancora in quanto cittadino straniero che lavora all’estero. “Oggi in Italia, con la normativa sul regime speciale per i lavoratori rimpatriati, il mio vantaggio fiscale si riduce. Anzi, non esiste più – sorride Marco –. L’unica motivazione per rientrare sarebbe quella di avvicinarmi alla mia famiglia”.

La formazione italiana per Marco è di assoluto livello, anche se “dovrebbe migliorare nell’aspetto pratico per facilitare l’immissione dei giovani nel mondo del lavoro”. “Se fossi rimasto in Italia mi sarei comunque dovuto allontanare dalla famiglia e dagli amici – racconta –. La situazione al Sud è veramente critica: le opportunità professionali sono poche, sottopagate e spesso per accedere devi ‘conoscere’ le persone giuste”. Se non fosse partito per andare all’estero Marco starebbe vivendo o lavorando in una città del Nord Italia, “con un crescita personale e professionale più lenta”, aggiunge. E i colleghi rimasti in Italia? “Non vedono l’ora di venirmi a trovare”, sorride. Ognuno ha fatto le proprie scelte: “Tra i miei amici ci sono quelli che sono soddisfatti e quelli che lo sono meno. Io vivo a Barcellona perché ci sto bene e spero che anche i miei amici siano felici, dovunque abbiano deciso di vivere. Se non dovessero esserlo sta a loro cambiare”.

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