Il Cancelliere dello Scacchiere inglese Rishi Sunak, padrone di casa del G7 di Londra, lo definisce “uno storico accordo sulla riforma fiscale globale”. Che “richiederà che i più grandi giganti tecnologici multinazionali paghino la giusta quota di tasse nel Regno Unito”. Come da attese, i ministri delle Finanze dei sette Paesi più industrializzati hanno concordato su una aliquota minima globale di “almeno il 15%” per le multinazionali e sulla tassazione degli extraprofitti che eccedono il 10%. L’aliquota minima è ben più bassa rispetto al 21% ipotizzato lo scorso aprile dopo la – questa sì – storica apertura della Casa Bianca di Joe Biden. E non sembra un buon segnale il fatto che Google e Facebook si dicano a favore dell’accordo che dovrebbe toccare direttamente i loro interessi. Non solo: come ammesso dal titolare dell’Economia italiano Daniele Franco, ammesso che al G20 di Venezia a luglio si trovi un’intesa globale (che dovrebbe poi essere estesa a livello Ocse) ci vorranno “alcuni anni” prima di riscuotere qualcosa. Tutti però ostentano soddisfazione. Per il premier Mario Draghi “è un passo storico verso una maggiore equità e giustizia sociale per i cittadini” e il commissario Ue Paolo Gentiloni parla di “grande passo verso un accordo globale senza precedenti”.

Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha fatto eco ai colleghi (“Dopo 4 anni di battaglia un accordo storico è stato trovato con gli Stati membri del G7“) ma ha riconosciuto che è solo “un punto di partenza. Nei prossimi mesi ci batteremo perché l’aliquota sia la più alta possibile”. Il via libera arrivato da Londra, dove sono i riuniti i ministri delle Finanze dei sette Paesi più avanzati, è infatti la prima tappa in vista dell’intesa globale che dovrebbe arrivare alla riunione di luglio del G20, di cui fanno parte fra gli altri anche Cina e Russia. La svolta nasce dal cambio di amministrazione negli Usa: è stata la ministra del Tesoro Usa Janet Yellen a lanciare proposta di una tassa minima sui profitti realizzati all’estero dai grandi gruppi del web e non solo. Ora Yellen in una nota parla di un “impegno senza precedenti che metterà fine alla corsa al ribasso nella tassazione aziendale, assicurando equità per i lavoratori negli Stati Uniti e in tutto il mondo”.

Una nota della presidenza britannica del G7 spiega che l’accordo prevede che le multinazionali del settore tecnologico “paghino le tasse in ognuno dei paesi in cui operano” e “non solo dove hanno la loro sede”. Il cosiddetto “primo pilastro” del nuovo fisco globale prevede l’applicazione delle nuove regole alle aziende globali con margini di profitto di almeno il 10%: il 20% della quota di profitto superiore al 10% diventerebbe soggetto a tassazione nei paesi in cui operano. Il “secondo pilastro” prevede invece il principio di una aliquota minima globale di almeno il 15% imposta paese per paese, “creando – sottolinea Londra – condizioni di parità per le imprese britanniche e abbattendo l’elusione fiscale”.

Il titolare delle Finanze tedesco Olaf Scholz esulta parlando di “una notizia molto bella per la giustizia e la solidarietà e una cattiva notizia per i paradisi fiscali”. In un’intervista rilasciata venerdì alla Bbc Scholz aveva evocato la possibilità “cambiare il mondo”. Ma questo richiede che l’aliquota minima sia adottata anche nella sede più estesa del G20 a presidenza italiana. “Se condivideremo una tassazione minima sulle imprese – è l’assunto – aiuteremo interrompere la corsa fiscale verso il basso che vediamo oggi e faremo sì che i nostri Paesi possano sostenere finanziariamente gli impegni necessari – soprattutto dopo tutto il denaro speso per affrontare l’emergenza Covid – per difendere la salute della gente e l’economia”. Resta tuttavia da superare, secondo la Bbc, il tentativo degli Usa di condizionare questa intesa alla rinuncia ai regimi di digital tax già annunciati da vari Paesi europei tra cui l’Italia.

Venerdì il ministro italiano Daniele Franco e gli omologhi di Francia, Germania e Spagna avevano lanciato un appallo al riguardo sul Guardian, sottolineando che “introdurre un sistema fiscale internazionale più equo ed efficiente era già una priorità prima della crisi economica attuale, e lo è ancora di più mentre ne usciamo”, perché la crisi è stata “un vantaggio per le big tech, che hanno rastrellato profitti a livelli che non si vedono in altri settori dell’economia. Quindi com’è possibile che le compagnie più profittevoli non paghino una giusta quota di tasse? Il fatto che il loro business sia online non significa che non debbano pagare le tasse nei Paesi dove operano e da cui derivano i loro profitti”.

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