Nei registri della Procura di Verbania esistono – da prima della strage della funivia Stresa-Alpino-Mottarone – altri due fascicoli che riguardano un impianto gestito da Luigi Nerini. Si tratta di Alpyland, una pista da bob su rotaia che dalla cima del Mottarone scende tra accelerazioni e tornanti per 1.200 metri, coprendo un dislivello di 100. Le due indagini, per lesioni colpose, sono nate da altrettanti incidenti avvenuti nel 2017 e nel 2019 che hanno ferito un dipendente e un passeggero. La circostanza è menzionata nella richiesta di custodia cautelare in carcere per il patron della Ferrovie Mottarone spa – società che gestiva la cabinovia su cui hanno trovato la morte 14 persone – negata il 29 maggio dalla gip Donatella Banci Buonamici. La vicenda Alpyland è citata dalla procuratrice Olimpia Bossi e dalla pm Laura Carrera come emblematica dell’“insofferenza” di Nerini “ad uno scrupoloso rispetto delle misure di sicurezza volte a tutelare l’incolumità degli utenti di tale genere di impianti”.

Il socio: “Non voglio più sentirlo” – Nerini gestisce la pista da bob attraverso una società – la 4MG Srl – di cui controlla il 63%, mentre il restante 37% è nelle mani del socio Michele Iorio. Che in una recente intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: “Nerini? Non voglio più sentirlo, quello che ha fatto è di una gravità inaudita. Quando ho sentito cos’era successo mi si è gelato il sangue. Sono socio di Alpyland con Nerini ma non c’entro nulla con la gestione delle funivia”. Il proprietario della Stresa-Mottarone, dice, “si interessava solo marginalmente, qui mi occupo io di tutto, manutenzioni e collaudi li facciamo regolarmente, in pista ci vanno anche le mie figlie, i miei nipoti. Io non mi permetto di giocare con la sicurezza di nessuno. Da noi il primo investimento è in sicurezza, poi viene tutto il resto, guadagno compreso”, senza citare l’esistenza dei procedimenti penali.

Lunedì nuovo sopralluogo della Procura – Nel frattempo prosegue l’indagine sul disastro del 23 maggio. Bisognerà attendere lunedì per il nuovo sopralluogo della procura di Verbania sul luogo dell’incidente: la data è stata decisa nei giorni scorsi in accordo con il perito dell’accusa, il docente del Politecnico di Torino Giorgio Chiandussi. Occorrerà capire se sarà necessario, come sembra, rimuovere la cabina dalla scarpata. A salire in vetta dovrebbero essere anche i consulenti di parte (il fisico cinematico Riccardo Falco e l’ingegnere dei metalli Andrea Gruttadauria) nominati dalla difesa di Gabriele Tadini, il capo del servizio dell’impianto, l’unico dei tre indagati che si trova ai domiciliari. Sembra però che non sarà possibile per loro accedere all’area della strage, al momento sotto sequestro: “La Procura ci ha vietato la ricognizione – lamenta l’avvocato Marcello Perillo -, noi però andremo lo stesso e vedremo cosa potremo fare. Sono molto risentito, una ricognizione serve perché finora abbiamo potuto esaminare solo delle fotografie. È un’iniziativa che riguarda gli aspetti tecnici: la cabina, la fune, il sistema frenante. Sono molti i dati da sottoporre a valutazione”.

La difesa di Tadini chiede incidente probatorio – Perillo ha chiesto inoltre alla Procura di svolgere un incidente probatorio per far luce sulle cause dell’incidente “prima della rimozione della cabina” dalla vetta del Mottarone: “È la soluzione migliore e la più garantista. Permette, peraltro, di andare avanti senza procedere per tentativi“, spiega il legale. La richiesta, si legge nell’atto, nasce “al fine di evitare l’eventuale compromissione della formazione della prova” ed è possibile, in termini di legge, perché l’accertamento, se disposto durante il dibattimento, potrebbe determinare una sospensione del processo superiore a 60 giorni. La prova da assumere in l’incidente probatorio è la perizia sulla “tipologia e le cause del cedimento della fune traente, causa primaria della caduta della funivia”, oltre a una “perizia sull‘impianto frenante e sulla centralina dello stesso, nonché sulle cause del mancato azionamento dello stesso”. La Procura aveva scritto, nella richiesta di misure cautelari, che non era possibile sapere se la rottura della fune fosse “un evento autonomo ovvero collegato ai segnalati malfunzionamenti del sistema frenante, ripetutamente verificatisi nel periodo antecedente” al disastro. Tadini ha sempre considerato l’ipotesi impossibile: “Mai e poi mai avrei pensato che la fune traente avrebbe potuto spezzarsi”, dichiarava già durante il primo interrogatorio. Riguardo alle immagini diffuse dall’emittente tedesca Zdf che mostrano i forchettoni bloccafreni presenti sulla funivia già nel 2014, nel 2016 e nel 2018, l’avvocato Perillo dice che prima di quest’anno “i forchettoni sono stati adoperati per il giro a vuoto o per la manutenzione, ma mai con gente a bordo. Se nei video si vedono delle persone – ha aggiunto – secondo Tadini si tratta di addetti alla funivia o manutentori”.

Solidarietà alla gip dal capo del Tribunale – E il presidente del Tribunale verbanese Luigi Maria Montefusco, in una nota, esprime “piena e convinta solidarietà” alla gip Donatella Banci Buonamici per la “vera e propria gogna e addirittura le inaccettabili e preoccupanti minacce” ricevute in seguito alla scarcerazione dei due indagati Luigi Nerini ed Enrico Perocchio. “Il clamore mediatico della tragica vicenda e la condivisibile sofferenza per le vittime non giustificano in alcun modo” i toni degli attacchi, scrive il giudice, ringraziando la collega “per l’esemplare e doveroso impegno profuso” in un’indagine “delicata e complessa” al solo scopo di “accertare la verità”. Nella nota si ricorda che le indagini per accertare le responsabilità “delicate e complesse” del disastro in cui hanno perso la vita 14 persone implicano “l’accertamento di rilevanti questioni tecniche” che “sono tuttora in corso” quando sono passati “solo pochi giorni” dalla tragedia del Mottarone.

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